James I. Packer (1926-2020): un tributo dall’Italia

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(Questa lettera fu scritta nel 2006, sollecitata dal prof. Timothy George che avrebbe poi curato il volume J.I. Packer and the Evangelical Future, Grand Rapids, Baker 2009, in occasione dell’ottantesimo compleanno del teologo britannico)

Caro Professor Packer,

Non abbiamo mai avuto l’opportunità di incontrarci, ma sento il dovere di inviarle una parola di gratitudine e di riconoscenza da un paese latino. In realtà, le nostre strade si sono incrociate su un autobus a Manila, nelle Filippine nell’estate del 1989. Eravamo seduti di fronte l’uno all’altro sull’autobus che riportava gli oratori della conferenza in hotel. La guardavo con ammirazione e curiosità, ma fui timido e non mi presentai. Ero rimasto colpito dalla sua conferenza sul tema dello Spirito Santo al "Congresso mondiale sull’evangelizzazione" (Losanna II). La lezione era stata teologicamente profonda, riuscendo ad essere sensibile verso coloro che hanno avuto esperienze particolari, ma anche salda nella Parola delle Scritture. Aveva dimostrato che era possibile ascoltare e comprendere le affermazioni degli altri senza rinunciare all'identità evangelica. La mia impressione, però, all’epoca fu che questo contributo, così teologicamente fondato, non fosse stato compreso appieno. Rappresentava un modello per un percorso di fede con una solida base teologica. Durante il suo discorso non fece nulla per ottenere la captatio benevolentiae del pubblico e mantenne saldi i punti della teologia classica. Fu l’occasione per cogliere il risultato di una solida base teologica. Tuttavia, ero troppo timido per manifestarle la mia ammirazione.

In precedenza, mentre ero ancora un giovane studente di teologia, avevo letto del suo impegno a stabilire, affermare ed esplorare le fondamenta della Parola di Dio. Manifestava una vera lealtà verso la Parola. Il suo Fundamentalism and the Word of God, pubblicato nel 1959, era una chiara difesa contro incomprensioni e pregiudizi diffusi. Ne apprezzavo il modo di collegare le sollecitazioni dei tempi attuali a delle fondamenta salde. Chiaro anche il modo di porre i problemi nella prospettiva più ampia possibile per coglierne rischi e sfide. Il rigore derivante dalla lettura dei puritani (evidenziato dalla sua introduzione all'opera di John Owen, The death of death in the death of Christ) era chiaro ed avvincente. Non c'era posto per particolari ingenui e indipendenti su questioni importanti. Aveva ragione nel dire che la teologia evangelica era l'erede di un sistema dottrinale e che l'autorità nella predicazione era legata anche a questa comprensione.

In seguito venne pubblicato Evangelizzazione e sovranità di Dio. Ringrazio Dio di aver avuto l'opportunità di leggerlo in italiano. Era chiaro che c'era un interesse per una visione a tutto tondo. In teologia, ma anche nella vita, non è possibile procedere per frammenti. Tutti gli elementi devono essere collegati e compresi e lei si è mostrato capace di unire e di comprendere.

Successivamente, è stato pubblicato Conoscere Dio. L'ho letto anche in italiano. In quel libro era evidente tutta la pietascosì preziosa per uno studente di teologia, una pietas nutrita di theologia nel miglior senso possibile della parola. Leggendo il libro, ho capito che senza una visione in grado di integrare theologia e pietas la vera conoscenza di Dio non poteva esistere. Nel ministero pastorale ho lavorato per far conoscere e comprendere queste opere nel nostro paese. L'evangelicalismo senza una visione completa non è in grado di resistere alle pressioni culturali in un paese come l'Italia. In questo paese non c'è spazio per mezze misure o frammenti di dottrina. Uno dei motivi per cui la Riforma non ha potuto diffondersi nel nostro Paese è stata proprio l'incapacità della maggior parte delle persone di cogliere la piena sfida della situazione partendo da una solida visione biblica. 

Così, quando fondai la rivista teologica Studi di teologia (1978), non potei trovare di meglio che tradurre e pubblicare in italiano, come primo articolo, "L’ermeneutica e l'autorità della Bibbia". Fu un modo per fissare alcuni punti necessari a livello sistematico. È possibile discutere dell'ermeneutica e anche della Bibbia, ma se non esiste un legame strutturale tra questi due argomenti, ci si perde in pensieri vani. Continuarono ad interessarmi, in particolare, quegli articoli in cui forniva importanti spunti sulle interconnessioni della fede evangelica. 

Perciò, il nostro Istituto di Formazione Evangelica e Documentazione (IFED) la invitò a partecipare alle "Giornate teologiche". Purtroppo, non poté accettare, ma capimmo. Aveva una visione per il mondo anglosassone e non voleva impiegare le sue energie in troppe direzioni diverse. Non potremmo essere più d'accordo con lei! Condividiamo lo stesso ardente desiderio di un evangelicalismo sano e robusto in Italia. Anche nel nostro Istituto, vogliamo evitare la frammentazione teologica e non è stato difficile comprendere il suo sforzo nel mantenere le traiettorie pur rimanendo in dialogo con l'ambiente culturale.

Ben presto però seguirono le polemiche sul cattolicesimo romano. Lei sottoscrisse “Evangelici e cattolici insieme. La missione nel terzo millennio” (1994). Era un invito alla cooperazione in materia sociale ed etica. Sembrava che la teologia consentisse la cooperazione tra cattolici ed evangelici. Mi chiesi se non fosse necessario riflettere maggiormente sul tipo di convergenza e se i rischi di fare affidamento sulla teologia naturale fossero stati ponderati con attenzione. Mi chiesi anche se la sua opposizione al relativismo e l'ansia apologetica non avessero minimizzato l'adesione al Sola Scriptura. Nel 1997, però, con “Il dono della salvezza" la vecchia controversia sul tema della giustificazione sembrava superata. 

Devo confessare che la questione mi lascia ancora sorpreso. Sembrava che il suo impegno a collocare i problemi all'interno di un quadro globale fosse quasi svanito. Invece di aiutare gli altri a pensare in termini di sistema teologico basato sulla Scrittura, il documento tendeva ad isolare le questioni. Poiché il cattolicesimo romano sembra avere una struttura solida e completa, potrebbe essere importante chiedersi se la fede evangelica riformata debba essere considerata come un'alternativa o una componente compatibile all'interno del sistema cattolico romano. Ci sono sicuramente alcuni punti di convergenza, ma come è possibile stare dentro la cornice di riferimento del cattolicesimo senza dare origine ad incomprensioni? Basta confessare i punti condivisi e tacere su quelle questioni in cui non siamo d'accordo? Confesso di essere ancora perplesso su tutta questa tendenza verso il cattolicesimo romano. Sto parlando apertamente, ma con convinzione. Da lei ho anche imparato che è possibile ascoltare e dissentire, dialogare ed avere un'opinione diversa.

Molti riconoscono che lei ha contribuito significativamente alla crescita del movimento evangelico nel mondo anglosassone. Dal mio punto di vista, vorrei aggiungere che ha sicuramente contribuito alla crescita del movimento evangelico italiano. Alcune delle sue opere sono state tradotte nella nostra lingua, molti altri suoi contributi sono stati diffusi attraverso pubblicazioni di opere di teologi italiani. C’è bisogno di comprendere i sistemi con cui entriamo in contatto e apprezzare che la teologia della Riforma evangelica rimane in grado di affrontare le tentazioni del settarismo, del sincretismo e del romanismo. Saluti cristiani anche dal mio più giovane collega Leonardo De Chirico con cui ho condiviso questo omaggio. 

 

Molto cordialmente e ad multos annos,

Pietro Bolognesi
Istituto di Formazione Evangelica e Documentazione
Padova, Italia