“Jemonnanzi”, ma con Gesù. Quello che il papa non ha detto all’Aquila

 
 

Ogni anno all’Aquila, il 28 e il 29 agosto si rinnova il rito della perdonanza celestiniana. Definito come il primo vero e proprio Giubileo della chiesa cattolica romana, la 'cerimonia del perdono' ha avuto origine nel 1294 in occasione dell'elezione di Papa Celestino V. La bolla papale annunciava che tutti i fedeli che avessero confessato e ricevuto la comunione, attraversando le porte della Basilica di Collemaggio durante i giorni della festa di San Giovanni Battista, avrebbero ricevuto l'indulgenza plenaria. Per la prima volta nella storia della chiesa romana anche il popolo, e non solo più i crociati o i potenti, poteva accedere al dono dell'indulgenza. Nonostante i tentativi Bonifacio VIII di annullare la bolla, il rito perdurò per secoli arricchendo la città dell'Aquila ed arrivando fino ai giorni nostri. Sebbene il rito abbia subito un lungo periodo di disinteresse, dagli anni 70 la riscoperta della figura di Celestino V ha riacceso la passione dei fedeli. 

Riconosciuto dall'UNESCO patrimonio orale e immateriale dell'umanità, oggi la perdonanza celestiniana all’Aquila è l'evento dell'anno dove le rievocazioni storiche, le serate con cantanti di successo e le bancarelle di dolciumi, si fondono con l'antico rito. Ma non solo: l'apertura della porta santa è il momento simbolico della collaborazione tra la chiesa romana e l'autorità locale, dove il sindaco della città dona al cardinale il bastone di ulivo per bussare alla porta. Il 2022 è stato l'anno degli anni: per la prima volta ad aprire la porta è stato il papa. Papa Francesco dalla piazza del Duomo ha usato parole piene di empatia verso le sofferenze del popolo aquilano gravemente colpito dal terremoto del 6 aprile 2009. Nelle parole del pontefice, la tradizione cristiana e civica è ciò che ha consentito di reggere l’urto del sisma e di partire con una ricostruzione. Tutto deve essere ricostruito insieme, le strutture, le case e le chiese, insieme alla ricostruzione spirituale, culturale, sociale ed ecclesiale. La chiave per Francesco è l’unità: tutto deve essere ricostruito insieme “Jemonnanzi”. 

Anche nella cerimonia del perdono il proposito primario della chiesa romana è emerso in maniera preponderante: Unire, assorbire, fondere i sistemi sotto un'unica grande madre: la chiesa cattolica. Francesco non perde occasione per riportare le istituzioni, le tragedie e la spiritualità sotto il cappello del Vaticano. In un palco che mostrava la frase “Il Perdono è un diritto umano”, il pontefice ha fatto spallucce delle verità bibliche per presentarsi alla folla come il dolce volto di una chiesa accondiscendente pronta ad abbracciare chiunque. Nella Bibbia, tuttavia, il perdono non è un diritto: è una conseguenza del ravvedimento dal proprio peccato, frutto della grazia di Dio. Gesù Cristo, di cui il Papa pretende di essere vicario, ha predicato il vangelo, ha compiuto l’opera di salvezza e chiama i Suoi eletti al ravvedimento dal peccato (Mt 3,2; 4,17; Mc 1,15). Giovanni il Battista, che viene celebrato nei giorni della perdonanza, ha predicato il vangelo annunciando il ravvedimento e chiamando “razza di vipere” gli ipocriti pronti a ricevere il perdono senza il ravvedimento (Mt 3,1; 3,7-8). L’apostolo Pietro, di cui Francesco si fa erede, non ha perso occasione per affermare che solo attraverso il ravvedimento si riceve il perdono (At 2,38; 3,19). Lasciar credere che il perdono sia un diritto è come rivestire di oro un ponte marcio: prima o poi crollerà portando con sé le vite di chi vi è sopra. Può sembrare bello e appagante dall’esterno, ma è rotto e drammaticamente corrotto dall’interno.

Distorcere il senso del perdono da grazia a diritto è il pernicioso gioco del peccato che pone l’uomo al centro della storia e Dio al margine. Anche se hai attraversato una tragedia, anche se hai vissuto un terremoto devastante, anche se hai sofferto come mai nessuno, nulla può darti il diritto di ricevere il perdono. Non c’è porta che puoi oltrepassare, non c’è cammino o processione che puoi ultimare. Solo la sofferenza di Gesù Cristo, la tragedia della Croce, l’ingiustizia della morte dell’unico giusto, il miracolo della resurrezione, hanno potuto provvedere il perdono per il peccato. Gesù Cristo ha pagato caro per il perdono di chi, attraverso la fede, ha creduto in Lui e si è ravveduto per il peccato. Non c’è perdono senza ravvedimento e non c’è ravvedimento senza la Sua Grazia.

Caro Francesco, come si dice in Abruzzo noi “Jemonnanzi”, ma con Gesù.