Pastori bi-vocazionali? Un documento di studio
Dà a pensare che nell’ultimo Congresso di Losanna 4 tenutosi a Seoul nel 2024 è stata dedicata attenzione alla missione nel posto di lavoro. Dai vari interventi è emerso che solo l’1% dei credenti, globalmente, è impegnata nel servizio a tempo pieno per la chiesa o comunque per agenzie missionarie. La stragrande maggioranza dei credenti vive forme di multivocazionalità: intrecciato all’impegno nella chiesa locale ha una professione.
Alla luce di questo dato lampante, è ancora utile parlare di “impegno a tempo pieno” e “lavoro secolare” come due mondi che si escludono a vicenda o che comunque non comunicano tra loro? Davanti ai cambiamenti sociali, economici e culturali, è il caso di riaprire la discussione e riconsiderare modelli di ministero pastorali applicabili?
Alla recente Compagnia degli Anziani delle Chiese Evangeliche Riformate Battiste in Italia (7-8/11) è stato presentato un documento di studio sul tema ad opera di un gruppo di lavoro incaricato. Per il momento si tratta ancora di un documento interno, ma che mette a fuoco alcuni elementi essenziali della riflessione.
Nel piccolo delle chiese CERBI, la maggior parte dei responsabili vive il ministero pastorale in forme bi-vocazionali; un dato simile può essere riscontrato in molte chiese evangeliche italiane. La bi-vocazionalità sembra essere una modalità diffusa che va tematizzata responsabilmente per non subirla passivamente né considerarla una “diminutio” del ministero.
Ecco alcuni elementi contenuti nel documento e che sono stati oggetto di conversazione. Con “mono-vocazionale” si intende una configurazione in cui il responsabile concentra in modo dominante tempo, energia e competenze sul ministero della Parola, della preghiera e della guida spirituale (At 6,4), senza la pressione continuativa di un impiego di “lavoro secolare”.
Questo può permettere una continuità nella predicazione della parola, una consistente presenza e vicinanza ai membri e l’impegno nel discepolato. Sono anche da tenere presente i rischi: un impegno ridotto dei credenti, la creazione di strutture verticistiche, la fragilità finanziaria e la cultura della dipendenza da pochi donatori (molto spesso esteri) e un sovraccarico dovuto da alte aspettative.
Di fianco al modello “mono-vocazionale”, c’è il modello “bi-vocazionale”. Molto spesso la professione secolare è primariamente un mezzo di sostentamento che permette al responsabile di servire una comunità che non può garantirgli un pieno supporto economico. L'impiego lavorativo esterno è funzionale al ministero e, in una prospettiva ideale, potrebbe essere considerato transitorio, qualora la chiesa raggiungesse l'autosufficienza. Questa logica è pragmatica e orientata alla sostenibilità del servizio pastorale.
Si tratta ancora una comprensione riduttiva. Va vissuto in una cornice teologica dell'integrazione vocazionale e non solo come “male minore”. La vocazione pastorale e la vocazione lavorativa/professionale non sono non sono in gerarchia, ma sono da considerare ambiti complementari di un'unica vita di servizio a Dio e al prossimo. La professione non è solo un mezzo di sostentamento, ma un'arena missionale e un luogo di testimonianza incarnata. Si può parlare anche di “co-vocazionalità” che riflette una vita cristiana non statica ma dinamica e multidimensionale, ricca e stimolante su tanti fronti, anche se impegnativa e sfidante.
Il modello “bi-vocazionale” deve fuoriuscire da un vissuto "pastore-centrico" della vita di chiesa e favorire la fioritura del sacerdozio universale dei credenti.
Distinguere i modelli di ministero pastorale aiuta a rispondere ai bisogni di ogni chiesa locale e a costruire strutture di supporto adeguate. Certamente, è necessario riconoscere l’importanza della figura pastorale mono-vocazionale (o “a prevalenza vocazionale ecclesiale”) ma è anche legittimo pensare ad un utilizzo misto di modelli ministeriali.
Occorre collocare bi- e co-vocazionale dentro una cornice ecclesiologica che includa la rilevanza strategica del ministero mono-vocazionale. Il Nuovo Testamento attesta la centralità della cura pastorale ordinaria, intensiva e continuativa, esercitata in collegio (Atti 14,23; 20,17, 28; 1 Tim 5,17; Tito 1,5). In tale cornice, i modelli bi-/co-vocazionali e mono-vocazionali non competono, ma si ordinano secondo principi di chiamata, contesto e funzione, in vista dell’edificazione del corpo (Ef 4,11–12).
Il movimento evangelico italiano ha da guadagnare dall’adozione intenzionale di una “architettura mista” del ministero, che trova il suo elemento portante in un collegio di anziani. Muoversi in tale direzione richiede un cambiamento di mentalità, la costruzione di infrastrutture leggere ma reali (finanza, formazione, tutela), e la determinazione a collaborare oltre i confini della chiesa locale.
Il documento di studio presentato alle chiese CERBI tocca un tema nevralgico che deve essere sviluppato ulteriormente per la fedeltà biblica e la sostenibilità della vita delle chiese.