Stottiana (VIII). Missione cristiana nel mondo moderno, 45 anni dopo

 
John Stott
 

La copertina è marroncina e con una grafica tipica degli anni Settanta. Il contenuto è rilevante tanto quanto lo era nel 1975. Sto parlando del libro di John Stott, Missione cristiana nel mondo moderno, Roma, GBU 1975. Il libro raccoglie una serie di conferenze tenute da John Stott (1921-2011) alla Wycliffe Hall di Oxford nel 1975, quindi un anno dopo il Congresso di Losanna per l’evangelizzazione del mondo.

Stott si prefigge di analizzare alcune parole chiave che erano al centro del dibattito di allora sulla missione cristiana. Queste parole avevano e hanno anche oggi la necessità di essere ben definite in quanto il loro significato variava/varia per il movimento ecumenico, da una parte, e per gli evangelici, dall’altra. 

Le cinque parole sono: missione, evangelizzazione, dialogo, salvezza e conversione.  

Nel parlare della missione, Stott fotografa in modo critico due situazioni opposte nel modo di affrontarla. La prima identifica la missione unicamente con l’annuncio della Parola, un ritiro dal mondo in cui non vale la pena impegnarsi. La seconda, elaborata nel movimento ecumenico di quegli anni, pensava alla missione come identificazione con le lotte sociali, la fame nel mondo, ecc., lasciando come marginale l’annuncio. Stott non risparmia forti critiche ad entrambe le posizioni, sia a quelle del neo-fondamentalismo, sia a quelle ecumeniche. Al termine del capitolo offre però degli spunti costruttivi, a partire dal grande mandato contenuto in Giovanni 20,21-22 dove Dio Padre manda il Figlio e il Figlio manda i discepoli. “Come il Padre mi ha mandato, anch'io mando voi”. La missione è parole e azioni, annuncio e impegno, proclamazione e servizio.

Per quanto riguarda l’evangelizzazione, essa non può essere definita dal risultato, dalle tecniche e dai metodi, e neanche dai destinatari, ma deve essere definita unicamente in rapporto al messaggio: il Vangelo stesso così come lo abbiamo ricevuto nella Bibbia. Una mancanza di fedeltà alla Parola di Dio inficia ogni pratica di evangelizzazione.

Sul dialogo, Stott insiste che esso sia un esercizio di umiltà, di prossimità e di integrità. Sulla salvezza, Stott sottolinea il fatto che la salvezza intesa in senso biblico sia una verità molto ampia centrata sulla liberazione dal peccato per diventare figli di Dio e per servire il prossimo e per perseguire la giustizia in tutte le sue espressioni: personali, sociali, politiche. La salvezza è la liberazione da uno stato di corruzione del peccato al regno della gloria di Dio.

Per quanto riguarda la conversione, Stott sottolinea il fatto che essa suscita ripugnanza nella cultura religiosa; eppure essa è al centro del messaggio evangelico. La parola conversione significa voltarsi o ritornare ed è associata alla rigenerazione dallo Spirito Santo e all’inizio della vita cristiana. È inoltre collegata al ravvedimento dal proprio peccato. È pure collegata all’ingresso nella chiesa e si manifesta in un impegno nella società in forme culturali e sociali guidate dallo Spirito Santo.

Cosa possiamo imparare noi da questo testo a quasi mezzo secolo da quando è stato scritto? Vorrei suggerire tre cose:

  1. Ogni credente deve rispondere alla chiamata olistica alla missione sia nel senso dell’annuncio del Vangelo che nell’impegno sociale e culturale che ne deriva, a seconda delle vocazioni che gli sono state rivolte e che sono state riconosciute nella chiesa.

  2. Nell’interazione e nel dialogo con altre realtà religiose bisogna comprendere che le stesse parole possono avere significati molto diversi e non bisogna peccare d’ingenuità in questo senso. Abbiamo visto che, ad esempio, solo queste cinque parole significano cose diverse molto diverse sia per liberali ecumenici, sia per i neo-fondamentalisti. Questo esercizio di ermeneutica sulle parole centrali al messaggio cristiano lo dobbiamo riprendere anche nel nostro contesto, per dialogare senza ingenuità e per annunciare senza arroganza.

  3. Dobbiamo essere consapevoli che il messaggio biblico è ricco, ampio, profondo e comprende l’individuo, la chiesa, l’eternità, la società, la storia, la cultura. Al contrario, la comprensione teologicamente liberale dell’evangelo è, pur presentandosi come acuta e ariosa, riduttiva e monca.

L’ultima parola a Stott: “Siamo stati mandati nel mondo come Gesù, per servire, perché questa è l’espressione naturale del nostro amore per il prossimo. Amiamo. Andiamo. Serviamo. E facendo non abbiamo secondi fini. Al Vangelo viene davvero a mancare la possibilità di essere veduto se ci limitiamo a predicarlo e di essere creduto se predicandolo centriamo il nostro interesse solo sulle anime e non abbiamo alcuna sollecitudine per il benessere materiale nei riguardi dei corpi dei bisognosi, delle loro condizioni e delle loro comunità” (p. 35).