Sulle orme dell’apostolo Paolo in Italia (IV). Borgo Faiti e il drenaggio delle paludi culturali d’Europa (parte I)

 
 

Borgo Faiti è un piccolo comune situato in provincia di Latina, nel Lazio meridionale. Fu fondato durante il regime fascista del XX secolo, dopo la bonifica integrale delle paludi che ricoprivano il territorio. Essendo così recente, il paese è un insediamento simile a un sobborgo moderno di una grande città italiana. Perciò, data la giovane storia di Borgo Faiti, contrariamente a molti altri centri italiani, non sono presenti edifici medievali.[1]

Quindi, se non ci sono tracce del Medioevo a Borgo Faiti, si può logicamente supporre che le possibilità di trovare testimonianze del passato romano siano inesistenti. Allora perché visitiamo questa città nel nostro viaggio sulle orme dell’apostolo Paolo in Italia? Il primo accenno si trova nel nome della piazza principale di Borgo Faiti, Piazza San Paolo Apostolo. Ma il posto migliore per capire perché il nome dell’apostolo è onorato si trova a poche centinaia di metri, lungo l’insospettabile Strada Statale 7 verso Terracina. Si tratta di un ponte piuttosto ordinario che attraversa il piccolo fiume Cavata. Se potessimo vedere il ponte dalla riva del fiume, scopriremmo subito che si tratta di un antico ponte romano. Ecco svelato il mistero: la Strada Statale 7 in realtà non è altro che l’antica strada romana meglio conosciuta come via Appia. E il ponte romano è uno dei pochissimi resti architettonici di quello che un tempo era una fermata per i viaggiatori chiamata Foro Appio, o Forum Appii in latino.

Chiunque abbia familiarità con la Bibbia riconoscerà il nome di questo luogo, poiché Luca cita il Foro Appio nei suoi resoconti del viaggio di Paolo a Roma. Ma la Bibbia non è l’unico testo in cui possiamo trovare menzioni di questo luogo. Fonti più antiche, come le Satire di Orazio, possono aiutarci a capire quale fosse il tipo di vita che si svolgeva nei Fori:

Passammo al foro d’Appio, ov’è gran turma di barcajuoli e ostier, maligna gente. Noi movendo a bell’agio in due giornate spartimmo quel cammin’, che da’ più lesti di noi si compie in un sol’ dì. Men grave A chi viaggia lento è l’Appia via quivi a cagion della pestifer’acqua costringo il ventre a digiunare e aspetto, di mal umor che la brigata ceni. Già la notte s’appresta a coprir d’ombre la terra e ’l Cielo a seminar di stelle quand’ecco servi e navicchier l’un l’altro si strapazzano urlando: A noi la barca. Mille persone vuoi cacciarvi. Ohe basta. Tra l’esigere il nolo, e tra ’l legare la mula al navicel si perde un’ora le insolenti zanzare e le ranocchie ci sturbano il dormir. Di grosso vino Ciurmati vanno le lor belle assenti barcajuolo e pedon cantando [2]

Un secolo dopo la visita di Orazio, Paolo lasciò Puteoli (Pozzuoli) e viaggiò a piedi verso Roma lungo la Via Appia, attraversando proprio questo ponte. Contrariamente a Orazio, Luca non scrive nulla sulla depravazione di questo luogo, ma riferisce che Paolo vi trovò un motivo di incoraggiamento: 

Or i fratelli, avute nostre notizie, di là [da Roma] ci vennero incontro sino al Foro Appio e alle Tre Taverne; e Paolo, quando li vide, ringraziò Dio e si fece coraggio (Atti 28,15). 

Non è difficile immaginare perché la vista di questi cristiani romani al Foro Appio fosse stata incoraggiante per Paolo. L’apostolo aveva già camminato per circa centocinquanta chilometri da Puteoli e mancavano ancora più di settanta chilometri per raggiungere Roma. Probabilmente Paolo era ormai molto stanco, e la sua prigionia insieme allo stato poco invitante del Foro Appio non dovevano di certo aiutarlo. Il fatto che questi cristiani si fossero allontanati così tanto dalla capitale imperiale per salutare Paolo può sembrare piuttosto sorprendente: Paolo non aveva mai visitato né Roma né l’Italia; quindi, era improbabile che fosse conosciuto in una città così distante da qualsiasi paese che aveva visitato finallora.

Sebbene si stesse recando a Roma per la prima volta, Paolo aveva già scritto tre anni prima una lettera alla chiesa di Roma mentre si trovava a Corinto. La lettera, che divenne nota come Epistola di Paolo ai Romani, era probabilmente uno degli scritti dell’apostolo che spiegava il Vangelo nel modo più completo. Anche se non ci sono documenti che ci dicano come l’epistola fu accolta dalla chiesa di Roma, possiamo tranquillamente supporre che ebbe una grande influenza sui suoi membri. Inoltre, questa epistola ebbe un ruolo particolarmente importante nella conversione di coloro che giocarono un ruolo fondamentale nella trasformazione del Vecchio Continente.  Essi resero l’Europa la terra più plasmata dalla Bibbia nella storia: vale a dire Agostino di Ippona, Martin Lutero e John Wesley. 

Agostino, padre della cultura occidentale 
Agostino di Ippona (354-530) è riconosciuto come uno dei Padri della chiesa più importanti della storia. Nacque a Tagaste, nell’odierna Algeria, da madre cristiana e padre pagano. Nonostante la madre Monica (332 ca. - 387) lo avesse allevato nella fede cristiana, Agostino si orientò verso filosofie pagane come il manicheismo prima e il neoplatonismo poi, conducendo una vita piuttosto dissoluta. Dopo aver intrapreso la carriera di retore a Cartagine, Agostino si trasferì in Italia in cerca di maggiore fama, prima a Roma e poi a Milano, allora capitale dell’Impero romano d’Occidente. Fu in quest’ultima città che Agostino incontrò uno dei più importanti pensatori cristiani del tempo, Ambrogio da Milano (339 ca. - 397). È anche lì che iniziò a leggere le Scritture e in seguito sperimentò una drammatica conversione alla fede cristiana, nota come “conversione del giardino”, notoriamente riportata nelle sue Confessioni: 

Così parlavo [cioè pregava Dio] e piangevo nell’amarezza sconfinata del mio cuore affranto. A un tratto dalla casa vicina mi giunge una voce, come di fanciullo o fanciulla, non so, che diceva cantando e ripetendo più volte: “Prendi e leggi, prendi e leggi”. Mutai d’aspetto all’istante e cominciai a riflettere con la massima cura se fosse una cantilena usata in qualche gioco di ragazzi, ma non ricordavo affatto di averla udita da nessuna parte. Arginata la piena delle lacrime, mi alzai. L’unica interpretazione possibile era per me che si trattasse di un comando divino ad aprire il libro e a leggere il primo verso che vi avrei trovato. Avevo sentito dire di Antonio che ricevette un monito dal Vangelo, sopraggiungendo per caso mentre si leggeva: “Va’, vendi tutte le cose che hai, dàlle ai poveri e avrai un tesoro nei cieli, e vieni, seguimi”. Egli lo interpretò come un oracolo indirizzato a se stesso e immediatamente si rivolse a te. Così tornai concitato al luogo dove stava seduto Alipio e dove avevo lasciato il libro dell’Apostolo all’atto di alzarmi. Lo afferrai, lo aprii e lessi tacito il primo versetto su cui mi caddero gli occhi. Diceva: “Non nelle crapule e nelle ebbrezze, non negli amplessi e nelle impudicizie, non nelle contese e nelle invidie, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo né assecondate la carne nelle sue concupiscenze”. Non volli leggere oltre, né mi occorreva. Appena terminata infatti la lettura di questa frase, una luce, quasi, di certezza penetrò nel mio cuore e tutte le tenebre del dubbio si dissiparono.[3]

Il passo che catturò il cuore di Agostino fu quindi Romani 13,13-14. D’altronde, questi due versetti succedono una parte dell’epistola in cui Paolo stabilisce le norme etiche fondamentali della società cristiana di Roma: 

Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. Infatti il «non commettere adulterio», «non uccidere», «non rubare», «non concupire» e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso». L’amore non fa nessun male al prossimo; l’amore quindi è l’adempimento della legge. E questo dobbiamo fare, consci del momento cruciale: è ora ormai che vi svegliate dal sonno; perché adesso la salvezza ci è più vicina di quando credemmo. La notte è avanzata, il giorno è vicino; gettiamo dunque via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. (Romani 13,8-12, NR 2006) 

Ma perché questo passo è stato così importante? Agostino visse in un momento cruciale dell’Impero romano. Dopo secoli di dominio su tutto il Mediterraneo, la parte Occidentale dell’Impero stava collassando. Se da una parte la Pax Romana non era più assicurata e gli attacchi delle popolazioni straniere si facevano più frequenti, dall’altra, le comunità cristiane, dove si applicava il comandamento di “amare il prossimo come se stesso”, sebbene imperfettamente, si trasformarono in luoghi di rifugio. 

Tuttavia, come si ripeterà nella storia, il cristianesimo non mancò di essere accusato di tutti i mali che l’Impero romano stava affrontando in quel periodo. Negli ultimi due decenni del IV secolo, varie decisioni prese da imperatori come Costantino (272-337 ca.), Graziano (359-383) o Teodosio (347-395) avevano fatto del cristianesimo l’unica religione ufficiale dell’Impero, inaugurando così l’era conosciuta come cristianità. Ma quell’epoca coincise con l’ascesa delle invasioni germaniche nella parte occidentale dell’Impero romano, che s’intensificarono durante la vita di Agostino. Per coloro che erano rimasti fedeli all’antico paganesimo di Roma, la spiegazione era semplice: l’Impero stava crollando perché gli dei pagani erano adirati dato che erano stati dimenticati in favore del Dio cristiano. Questo portò Agostino, uno dei più importanti intellettuali cristiani dell’epoca, a scrivere il suo opus magnum, La città di Dio, in cui confutò con forza tali accuse e difese la filosofia della vita cristiana.  

L’altra opera principale di Agostino, Le confessioni, da cui è stato citato pocanzi, inaugurò una nuova mentalità cristiana. L'opera è stata descritta da alcuni come “la nascita dell’individuo”.[4] Anche se non fu la prima opera autobiografica della storia, Agostino fu il primo a scrivere delle proprie debolezze individuali. Fino al periodo in cui Agostino visse, le varie religioni e filosofie che avevano preso piede in Europa avevano enfatizzato gli sforzi o le virtù umane per raggiungere la salvezza. Ma l’esposizione di Agostino della fede cristiana metteva in evidenza la corruzione del cuore umano. In particolare, nella sua difesa del cristianesimo contro Pelagio, che credeva che il peccato di Adamo non fosse stato imputato alle altre generazioni e che quindi l'uomo compiere indipendentemente il bene, Agostino sottolineò la necessità della grazia di Dio nella vita del credente. La volontà dell’uomo non era in grado di fare il bene senza la potenza trasformatrice di Dio. Secondo Larry Siedentop, questa comprensione della natura della volontà permise ad Agostino di “portare a termine la demolizione del razionalismo antico”,[5] cioè l’idea che alcune persone fossero state dotate della ragione per essere in grado di governare, mentre altre no. Con l’enfasi sulla corruzione dell’uomo e sulla necessità della grazia di Dio, tale gerarchia di valori non sarebbe stata progressivamente più possibile da sostenere in Europa. Solo grazie alla convinzione che tutti gli uomini sono fatti a immagine di Dio e al contempo peccatori bisognosi della grazia di Dio, potevano nascere idee come lo stato di diritto, i diritti umani o il diritto alla proprietà privata. 

Costantino, Graziano e Teodosio avevano inaugurato la cristianità in Europa facendo del cristianesimo l’unica religione legale di Roma. Tuttavia, l’adozione legale di una religione non spiega perché la cristianità sia potuta durare per oltre un millennio. Le opere di persone come Agostino, esse stesse fondate sulla Parola di Dio, diedero infatti alla cristianità le basi necessarie per la nascita di una delle più belle culture mai esistite sulla terra.

(fine parte I)

[1] “La storia di Borgo Faiti”, Borghi di Latina, http://www.borghidilatina.it/borgo-faiti/foto-storiche.html. (ultimo accesso 28 settembre 2023).
[2] Quinto Orazio Flacco, Le satire e l’epistole, tr. Luca Antonio Paganini, Pisa, Presso Ranieri Prosperi 1814, X.V.
[3] Agostino, Le confessioni, 8.29.
[4] Larry Siedentop, L’invenzione dell’individuo. Le origini del liberalismo occidentale, Roma, Luiss University Press 2017, p. 122.
[5] Siedentop, cit., p. 124.