Accogliere i profughi (I). Le responsabilità sacerdotali

 
 

Negli ultimi anni anche l’Italia evangelica è stata investita dal tema dell’accoglienza dei profughi. Afgani, siriani e ora ucraini bussano alla porta di iniziative evangeliche. Cosa fare? Come farlo? Come orientarsi? Senza pretese di esaustività o completezza, è tuttavia utile cercare un approccio sano, che aiuti a tenere diversi aspetti dell’accoglienza: integrazione, fede, cura, istruzione, evangelizzazione e anche discepolato (se in presenza di credenti).

Nel ministero tra i profughi è facile scoppiare, esaurirsi, scoraggiarsi ed in alcuni casi non volerne neanche più sentirne parlare! Durante i 10 anni di ministero tra i profughi a Roma ho visto così tanti insuccessi (tra membri di chiesa, missionari, collaboratori vari…) e molte tentazioni per lasciare tutto. Forse il motivo di base sono motivazioni sbagliate ed entusiasmi come fuochi di paglia: la tenuta nel tempo non ha retto e molti hanno rinunciato.

Apparentemente il ministero tra i profughi può sembrare accattivante, interessante, aprente gli occhi sul mondo e sprovincializzante. Spesso è anche visto staccato dall’impegno della chiesa locale, purtroppo… Alcuni anni fa accogliemmo nella nostra chiesa una famiglia di otto persone. Eravamo all’inizio dell’opera di fondazione della chiesa. Dedicai molto tempo a questo progetto di integrazione, con la benedizione della mia chiesa, ma feci anche alcuni errori. Quando la famiglia, dopo un anno e mezzo e dopo essere apparentemente ben avviata a Roma ed inserita nella chiesa, se ne andò in Germania senza quasi salutare, ne compresi alcuni. L’impegno era stato totalizzante, quasi la mia priorità per almeno un anno. 

Successivamente ebbi l’occasione di soffermarmi su alcuni insegnamenti che venivano proposti nella mia chiesa in quel periodo. Tra le letture bibliche mi colpì molto la prima lettera di Pietro, rivolta alla chiesa nella diaspora nell’Asia minore. Mi sembrava che questo testo biblico fosse così calzante rispetto alla persecuzione della chiesa di Dio, ai flussi di profughi (peraltro sempre in aumento di anno in anno in tempi recenti), la loro chiamata come stranieri in altro Paesi ad essere un popolo santo, l’etica da applicare alla vita di tutti i giorni, i rapporti con le autorità, nella comunità, nella famiglia, ecc.

Proprio in 1 Pietro 2,9 ci sono le tre responsabilità di fronte alle quali ancora la chiesa si trova, che sono le dirette conseguenze dei tre uffici di Cristo: sacerdote, re e profeta. L’apostolo Pietro nel volere incoraggiare ed esortare un popolo che fugge dalla persecuzione, che vive tra mille prove, ricorda la grande dignità della chiesa, sia che si trovi momentaneamente nella diaspora e comunque sempre di passaggio sulla terra anche se non necessariamente perseguitata. Infatti, gli uffici di Cristo (sacerdote, re e profeta) diventano tre responsabilità per la chiesa

1 Pt. 2,9 “Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, poiché proclamiate le virtù di Colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua meravigliosa luce”

Quando l’entusiasmo finisce, quando il lavoro si fa duro, quando lo scoraggiamento si fa pressante e si vorrebbe mollare tutto, forse la vera motivazione non era radicata nella persona di Cristo e nel suo modello per la chiesa, ma altrove. Amare Cristo e seguire il suo modello deve rimanere il centro di tutto quello che faremo nei prossimi giorni con le persone che stiamo aspettando. 

Cosa vogliono dire però questi uffici di sacerdote, re e profeta?

In quanto sacerdote Gesù media la relazione con il Padre e si fa prossimo con noi (amico, fratello), provvedendo ai veri bisogni delle persone e di riflesso come chiesa siamo chiamati alla preghiera e all’essere prossimi alle persone in stato di difficoltà.

In quanto profeta, Gesù annuncia le verità del Padre, che anche quando è scomoda o destabilizzante, è invece liberante e di riflesso come chiesa siamo chiamati ad annunciate le verità di Dio, ad istruire, a sfidare ed annunciare con la sua Parola, a evangelizzare, ecc.

In quanto re, Gesù governa la nostra vita inserendoci in percorsi di guarigione finalizzati alla nostra salvezza. Come chiesa siamo chiamati a guardare ai nostri contesti e spronati a ristabilire il buon ordine di Dio. A dire il vero, la responsabilità regale non è solo mirata ad agire nell’immediatezza di una emergenza, ma si occupa anche di coltivare percorsi sostenibili(istruzione, salute, lavoro, libertà religiosa ecc.) nel tempo e di promuovere giustizia e di opportunità per tutti.

Questa è la nostra specificità cristiana e dignità nel servizio. Ricordiamoci di questi tre aspetti, bilanciandoli bene tra di loro e ricalibriamo bene le nostre vere motivazioni prima ancora di iniziare un progetto di accoglienza verso profughi e rifugiati. 

Quanto alla responsabilità sacerdotale, sono molti gli aspetti che mi vengono in mente quando ci riferiamo ad essa.

  • Ascolto: ascoltiamo le storie di vita che ci vengono raccontate

  • Empatia/comunione nella sofferenza/un membro soffre tutto il corpo soffre.

  • Accoglienza dell’altro senza volerlo creare a nostra immagine e somiglianza.

  • Genuino interesse della cultura di provenienza ed opportunità per esprimerla: cibo, lingua, abbigliamento.

  • Riconoscere e incoraggiare i progressi (ad esempio della lingua del Paese ospitante, nel nostro caso l’italiano. Quando i bambini andranno a scuola, impareranno molto velocemente, sicuramente molto più dei genitori. Va riconosciuto e lodato ogni progresso. Preghiera per, preghiera con quando possibile…

La responsabilità sacerdotale ci permette di costruire una rete di prossimità intorno ai profughi. Come Cristo si è avvicinato a noi, noi ci avviciniamo agli altri, con sensibilità e tatto. Attenzione a non essere troppo prossimi nel senso di non sostituirsi alle scelte in tutto e per tutto.. D’altra parte, la responsabilità sacerdotale troppo distaccata senza l’ascolto, la preghiera, l’empatia ad esempio, sarebbe assistenzialismo arido lontano dall’esempio di Cristo.

Bibliografia
Alleanza Evangelica Italiana, “Immigrati e confini responsabili” (2008) 
AaVv., “Stranieri con noi”, Studi di teologia – Suppl. N. 7 (2009).
L. De Chirico, “Comunità profetica, sacerdotale e regale. Profili di etica pubblica per la chiesa”, Studi di teologia NS 58 (2017) pp. 87-97.
 L. De Chirico, “L’etica della cura tra responsabilità sacerdotali, profetiche e regali”, Studi di teologia – Suppl. N. 17 (2019), pp. 21-30.

(continua)

N.B. Questa serie nasce da alcuni seminari di formazione tenuti nell’ambito di progetti di accoglienza promossi dall’Alleanza Evangelica Italiana