Alla ricerca di un’etica del lavoro. Appunti da un convegno

 
 

Di lavoro si vive, di lavoro si muore (tragicamente). Di lavoro si soffre, sul lavoro si legifera. Il lavoro cambia, il lavoro crea stress. Il convegno “Lavoro ed etica del lavoro nel tempo della decrescita: storia, cambiamenti, diritti” organizzato dalla Federazione delle Chiese Evangeliche Italiane e l’Università degli Studi di Salerno (8-9 aprile) mostra che il lavoro è sempre al centro dell’attenzione del discorso pubblico. Tutti ci facciamo domande su come lavorare, come affrontare le complessità del lavoro e come vivere le sfide che esso comporta. 

Le relazioni portanti sono state di Alberdo De Bernardi (Università di Bologna) il quale ha fatto una panoramica della storia del lavoro in Italia e non solo, a cui è seguito da Adalgisio Amendola (Università di Salerno) il quale ha ricordato che ci troviamo di fronte alla difficoltà di definire cos’è il lavoro e il lavoratore, affermando la necessità di un “alfabeto comune”. Sono stati inoltre, presentati il volume Storia del lavoro nell’Italia contemporanea, Bologna, il Mulino 2023 e quello di P. Naso (a cura di), Chiese nere lavoro nero, Brienza (PZ), Le Penseur 2023. 

Solo una sessione è stata dedicata al “Lavoro ed etica religiosa” in cui è stato fatto cenno all’etica protestante (Debora Spini) e a quella cattolica (Tiziana Faitini). Il taglio è stato prevalentemente storiografico, mentre sono mancati spunti applicativi dell’etica protestante sulle complesse questioni contemporanee. L’impressione è che l’etica protestante del lavoro sia un nobile soprammobile della storia, ma non uno strumento di lavoro per plasmare la realtà attuale.

L’ultima sessione ha visto interagire Sabato Aliberti (Università di Salerno) e Hanz Gutierrez (Istituto Avventista). Il primo si è concentrato sul cambio epocale dal focus sul lavoro salariato in un modello produttivista al focus sul mercato azionario. Ciò ha portato un cambiamento anche nel capitalismo: da quello manageriale a quello azionario. Gutierrez ha posto l’accento sull’ambiente ecclesiale e della difficoltà delle chiese di essere promotrici di un vissuto etico responsabile, frutto di uno stile di vita diverso. Il limite di questa lettura è che, in pratica, la ricetta proposta è quella di avere una teologia sempre più spogliata del suo compito profetico, regale e sacerdotale e sempre più “leggera” e confusa tra gli altri saperi. Diverso è l’approccio contenuto nella proposta del fascicolo “Buon Lavoro”, Studi di teologia – Suppl. N. 18 (2020). In esso la visione del mondo evangelica è spronata a porsi nella complessità del mondo del lavoro per elaborare piste che possano immettere nel dibattito spunti nuovi che derivano dall’assimilazione delle categorie bibliche. Purtroppo nel convegno non è stato previsto il confronto anche con questo approccio evangelico.

Si è trattato di un convegno che fa nascere tante domande. Nell’immaginario generale il lavoro rimane un mezzo per l’acquisizione dei diritti. Senza il lavoro l’uomo non ha dignità. Il lavoro deve essere giusto perché è l’unica fonte di giustizia sociale. E’ davvero così? Pur apprezzando il tentativo di ridare al lavoro la giusta importanza, anche l’accademia fa fatica a sviluppare modelli alternativi che non siano nella logica di azione-reazione, liberismo selvaggio-statalismo regolatore, deregulation-sindacalizzazione, ecc. Nelle discussioni attuali non si esce da categorie che rimandano alla crescita economica del dopoguerra 1945-1975 a cui tutti guardano con nostalgia, oppure si pensa all’opposto, cioè alla decrescita. Si fa fatica ad uscire dalla contrapposizione tra il controllo top-down dell’economia e la totale liberalizzazione. 

Sono pertinenti le parole di Marco 2,21-22: “Nessuno cuce un pezzo di stoffa nuova sopra un vestito vecchio; altrimenti la toppa nuova porta via il vecchio, e lo strappo si fa peggiore. Nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino fa scoppiare gli otri, e il vino si perde insieme con gli otri; ma il vino nuovo va messo in otri nuovi”. Le nuove frontiere del lavoro (povero, iper-qualificato, IA, disuguaglianze, precarietà) devono essere affrontate in modo nuovo, non mettendo pezze a edifici culturali che fanno acqua da tutte le parti, ma riscoprendo la visione biblica del lavoro e costruendo sistemi di lavoro che le corrispondano.