Donne pastore? Parliamone (I)

 
 

E’ notizia della scorsa settimana che l’assemblea annuale della Convenzione battista del Sud, la più grande denominazione evangelica degli USA, ha riaffermato uno dei punti della propria confessione di fede (il Baptist Faith and Message, art. 7) in cui si sostiene che “mentre sia uomini che donne hanno ricevuto doni per il servizio nella chiesa, l’ufficio del pastore/anziano/sovrintendente è circoscritto a uomini qualificati secondo la Scrittura”. Cosa è in ballo è la delimitazione dell’ufficio dell’anzianato/pastorato ai soli uomini, non in quanto tali, ma in quanto uomini dotati delle caratteristiche che la Bibbia prescrive e che la chiesa riconosce. La notizia proveniente dagli USA ha fatto un certo scalpore perché la chiesa del pastore Rick Warren (Saddleback Church, California) qualche anno fa aveva proceduto all’ordinazione di donne pastore e questo atto aveva determinato il provvedimento di esclusione da rapporti di “collaborazione fraterna” con le Chiese battiste del Sud, praticamente la dissociazione di Saddleback dalla Convenzione.  La notorietà di Warren nel mondo ha fatto sì che il caso diventasse di dominio pubblico e rinfocolasse un dibattito ormai stabilmente presente nel mondo evangelico globale.

Che non si tratti di una questione interna ai battisti, basti ricordare il fatto che all’inizio di giugno, un’altra grande denominazione (la Christian and Missionary Alliance) ha deciso di riconoscere il titolo di “pastore” alle donne, ma non quello di “anziano”. Decisioni simili sono state prese nel recente passato dalle Assemblies of God (sempre USA) e da altre denominazioni. Il punto è che il ministero femminile è diventato un tema caldo, e non da oggi, anche nell’evangelicalismo.

A livello internazionale, negli ultimi vent’anni abbiamo assistito ad un “silenzioso” benché portentoso shift nella vita degli organismi rappresentativi e nel vissuto delle conferenze evangeliche. E’ diventato evidente che l’Alleanza evangelica mondiale ed europea, il Movimento di Losanna e tante altre agenzie evangeliche siano diventati luoghi dove il ministero femminile viene non solo riconosciuto, ma anche promosso in forme esplicite ed intenzionali. Non che vi sia stato un dibattito aperto o una discussione sul tema. Semplicemente, vi sono state spinte interne che hanno fatto propria un’agenda “egualitarista” (torneremo su questo termine) e l’hanno promossa tramite gli organismi internazionali facendola diventare a tutti gli effetti un fait accompli. Oggi nel mondo evangelico internazionale ampiamente inteso, tutto ciò è dato per scontato e chi prova a discuterlo o problematizzarlo è visto con una certa sufficienza se non proprio con aperta acrimonia. La corrente culturale spira nella direzione egualitarista e le chiese si stanno via via adeguando ad essa mettendosi in direzione di vento e non controvento, salvo eccezioni recenti come la Convenzione battista del Sud.

In Italia, le prime donne pastore ordinate dalla chiesa valdese risalgono al 1967; a seguito di quella decisione il protestantesimo storico si è velocemente adeguato facendo del pastorato femminile un fiore all’occhiello della propria postura “moderna” rispetto alle sensibilità culturali del nostro tempo.

E il mondo evangelicale? A spanne, bisogna riconoscere che partiva da posizioni culturali non tanto “complementariste” (torneremo su questo termine) quanto intrise di maschilismo, talvolta con punte patriarcali. Visto che si trattava più di un assetto ereditato più dalla cultura “tradizionalista” che non dall’assimilazione di categorie bibliche, cambiando la direzione della cultura prevalente, molte chiese, soprattutto le chiese “libere” e quelle neo-carismatiche, hanno velocemente cambiato i paradigmi di fondo e si sono adeguate alla cultura egualitarista. Sono pertanto apparse “donne pastore” e il ministero pastorale femminile è stato gradualmente accettato, senza grandi sussulti né apparenti strappi. Anche in questo caso, non risulta che vi siano stati dibattiti pubblici o sessioni di studio allargate che hanno messo a tema la questione, anche se è evidente che c’è chi abbia provato ad argomentare biblicamente lo shift. Più semplicemente, è accaduto che il combinato disposto tra la presa di distanza dal patriarcalismo e l’adeguamento all’egualitarsimo abbia comportato la revisione nella tradizionale comprensione dell’ufficio pastorale come affidato a uomini dotati di qualifiche definite dalla Scrittura.

(continua)