Il futuro del pianeta dipende dal cervello. Davvero?
Perché, pur riconoscendo la gravità del problema, non facciamo nulla per fermare il cambiamento climatico? Perché continuiamo a bruciare combustibili fossili come se la Terra fosse in liquidazione? Matteo Motterlini con Scongeliamo i cervelli non i ghiacciai. Perché la nostra mente è l'ostacolo più grande nella lotta al cambiamento climatico, Milano, Solferino 2025, porta dove nemmeno gli ambientalisti osano guardare: dentro il nostro cervello. Oggi l'attenzione mediatica su questi temi è presente a ogni livello (questi giorni è in corso la COP 30 in Brasile), eppure la trascuratezza diffusa è evidente.
Motterlini insegna al San Raffaele di Milano, ha studiato alla London School of Economics, si è poi dedicato all'economia comportamentale, alle scienze cognitive e all'economia emotiva. Il titolo è molto efficace, ci dice subito che non è il solito libro sul problema del riscaldamento climatico.
Prima ancora che ecologico, il problema è cognitivo, esiste una serie di pregiudizi che ci impediscono di affrontarlo seriamente. In altre parole, bisogna partire dalle scienze cognitive e dal comportamento umano.
Il libro si basa su otto domande. Nelle prime due Motterlini si domanda perché la crisi climatica non ci smuove, e si continua a posticipare l'inevitabile. Una causa è legata ai pregiudizi che ci portano a preferire l'appagamento immediato e non accettare gli effetti incerti che si avranno a breve termine.
In sostanza, diamo meno importanza a ciò che sarà rispetto a ciò che è. Questo perché nel nostro cervello è forte il conflitto fra l'aspetto intuitivo e quello lento e riflessivo che non sempre vanno d'accordo; a volte entrano in conflitto e ci fanno prendere decisioni non razionali.
La terza domanda riguarda il fatto di ignorare chi verrà dopo di noi. Cita i padri della libertà moderna che hanno sempre vincolato la libertà alla responsabilità del suo utilizzo, in particolare John Stuart Mill sostenitore del principio del non danno come limite della propria libertà.
Ciò vale per il prossimo che ci sta accanto e per i posteri. Principio che è previsto anche dalla nostra Costituzione, all’art. 9: "Le leggi devono essere fatte anche negli interessi delle future generazioni”. È il tema della giustizia intergenerazionale.
Alla domanda perché cambiare ci costa così tanto, per Motterlini la risposta sta nella difficoltà a percepire i rischi. In genere si pensa che le cose brutte succederanno sempre agli altri, oppure quando non ci saremo più. A causa di questo inganno si sta distruggendo il più prezioso dei beni comuni, cioè la nostra casa, la Terra.
Ma se tutti si prendono una fetta di un bene comune, questo bene non ci sarà più per nessuno! Così, a medio termine, il vantaggio immediato si trasforma in uno svantaggio per tutti (quello che Greta Thunberg alla COP24 chiamò "il furto del futuro").
Le ultime due riguardano più la scienza. Per Motterlini vi è sempre di più la tendenza a negare le evidenze scientifiche. Le ragioni riguardano l'autoassoluzione, la voglia di spiegazioni consolatorie, le contraffazioni dei negazionisti e di quelli che inventano dubbi inutili e falsità.
Su questo tema Motterlini cita Naomi Oresques, filosofa della scienza che lavora ad Harvard: "Tra scienza e ciarlataneria, tra sapere dimostrabile e mera opinione, il confine non è sempre sorvegliato. È lì che si insinuano i trafficanti del dubbio e lo fanno approfittando della natura stessa della scienza provvisoria, precaria, rivedibile, in una parola onesta".
In pratica, se la scienza non fornisce certezze assolute, allora la si riduce a un'opinione come un'altra. Per Motterlini è quello che sta accadendo. Quando si vuole negare l'evidenza, si semina incertezza e se non si hanno argomenti, si mette discussione chi li ha. La scienza dei ciarlatani oltre a non portare le evidenze di ciò che afferma, si rifiuta di sottoporsi allo scrutinio degli esperti.
Le analisi di Motterlini sono incontestabili; molti si ritroveranno in esse. Il suo buon senso ha però suscitato in me delle domande: perché tante persone, pur consapevoli del grave problema climatico, non sono disposti a cambiare certi stili di vita dannosi per il clima? Le sole scienze cognitive hanno davvero la forza di modificare questi stili di vita? Perché la sola etica della responsabilità e la giusta preoccupazione generazionale finora non sono state risolutive?
Pur ricca, la sua analisi ha trascurato di fare i conti con la questione di fondo. La visione biblica non nutre un ottimismo assoluto nelle possibilità naturali e cognitive dell'uomo e la realtà dei fatti lo conferma. La visione biblica parte da semplici domande: "A chi appartiene davvero il mondo in cui viviamo? Di conseguenza, a chi fare riferimento per la sua gestione e custodia?"
Come dice il fascicolo "Transizione ecologica", Studi di teologia – Suppl. N. 20 (2022) pp. 26-27, “la motivazione della transizione ecologica non è dettata dalla paura nei confronti degli sconvolgimenti ambientali, dalla mera ricerca della sopravvivenza, dall'ansia di dimostrare l'innata bontà umana o dal senso di responsabilità verso le generazioni future, o dalla prospettiva utilitarista della creazione... ma è dettata in ultima analisi dall'amore di Dio e per il suo onore. Il mondo è suo e testimonia della sua grandezza... così l'azione ecologica è una testimonianza di prendere Dio e il suo mondo sul serio".