La Domenica di Achille Lauro

 
 

Achille Lauro torna a far parlare di sé dopo la sua apertura della 72 edizione del Festival della Canzone Italiana, come cantante in gara. Questa volta è la sua visione della “Domenica” a fare scalpore: la domenica è il giorno della libertà, dove ognuno fa ciò che vuole e dove le proprie passioni e il proprio piacere vince sull’oppressione di tutto il resto. La canzone, accompagnata da una performance artistica, ha ricevuto i giudizi più disparati e un voto mediocre da critica e pubblico nella classifica finale, che avevano ovviamente le loro aspettative.

Sul palco dell’Ariston, l’artista, accompagnato da alcuni membri dell’Harlem Gospel Choir, ha concluso la sua esibizione nella prima serata, inginocchiandosi e versandosi sul capo dell’acqua con una chiara allusione al rito cattolico romano del battesimo per aspersione.

C’è chi ha giudicato il brano come un “plagio di sé stesso”, per la troppa somiglianza alla sua precedente “Rolls Royce”, c’è chi l’ha valutato poco trasgressivo in confronto ad artisti del passato,c’è chi dice che sia stato un evangelizzatore migliore dei preti di oggi avendo avvicinato i giovani ad un segno della fede cattolica di cui non hanno mai sentito parlare, e chi al contrario lo ha ritenuto blasfemo nei confronti del sacramento cattolico al punto da indire subito una raccolta firme per chiederne la squalifica dal concorso. C’è anche chi ha affermato che l’indifferenza e il silenzio siano il miglior giudizio possibile. In mezzo a tutte queste valutazioni, non mi pare di coglierne nessuna che cerchi di andare al cuore della sua espressione artistica.

Quel è stata la nostra reazione come evangelici? Abbiamo ricalcato una di queste? Ci siamo scandalizzati per i suoi gesti esteriori? Abbiamo scelto l’indifferenza? Ci siamo fermati alla superficie oppure abbiamo provato a guardare un po' più in profondità? 

Nonostante le critiche e la pessima posizione nella classifica sanremese, nei fatti Lauro continuerà ad essere un artista di riferimento per moltissimi,probabilmente ancora per diverso tempo, soprattutto tra i giovani che affermano di trovare in lui, nella sua storia, nella sua arte e nella sua visione del mondo e della vita un senso di novità eun modello che altri non hanno saputo dargli. Questa attrattiva è certamente esercitata anche nei confronti dei nostri figli.

Francis A. Schaeffer, nel suo Il Dio che è là, orig. 1968; ed. it: Parma, Guanda 1971, diceva che se il cristiano non vuole essere un pezzo inutilizzato da museo ha bisogno di comprendere ciò che gli sta davanti nel tempo della sua storia, compresa l’arte e la musica. Se davanti ad esse mostriamo ostilità o indifferenza allora non avremo nessuna “buon notizia” da comunicare. Non possiamo semplicemente prenderla e gettarla via, come se la persona che l’ha creata non valga nulla ed essa non abbia nulla da dire. Se facciamo lo sforzo di capire la “Domenica” di Achille Lauro, e i suoi precedenti “Prega per noi”,“Dio c’è”, ecc…; se comprendiamo la sua storia personale narrata nel suo libro “Sono io Amleto” allora avremo riconosciuto il valore della persona che ci sta dicendo qualcosa su di sé e sul nostro tempo, potremo esprimere un giudizio appropriato e potremo sperare di avere qualcosa da dire all’artista come uomo e un messaggio diverso e valido da offrire ai tantissimi giovani che in lui hanno trovato una guida, un’ispirazione e un riferimento.

Schaeffer indicava almeno tre elementi per valutare un’opera d’arte: la perfezione tecnica, l’integrità – ossia l’onestà dell’opera nell’esprimere veramente quello l’artista pensa, e infine il messaggio dell’opera. In questo modo siamo costretti a riconoscere l’artista come creatura di Dio, ricca di doni e talenti, in grado di creare cose straordinarie senza essere esente lui stesso dall’essere sottoposto all’autorità di Cristo e alla Legge di Dio come ogni altra creatura. Avrò empatia per la persona che ha prodotto tali cose, osserverò attentamente la perfezione tecnica alla quale può giungere, fino ad essere geniale; l’integrità e la coerenza che esprime e che possono essere altrettanto elevati; e nel medesimo tempo posso rifiutare il suo messaggio giudicandolo, sulle basi della verità assoluta dell’Evangelo di Cristo, come un messaggio privo di speranza vera, e in fondo colmo di distruzione e di morte. Schaeffer affermava: “Posso rammaricarmi, poiché [l’artista] si trova in piena angoscia e la comunica agli altri”.

Achille Lauro è il simbolo di una generazione cresciuta da sé, che lui stesso definisce “ragazzi madri”, che ha fatto della strada e del gruppo la propria scuola di vita. È il simbolo di una generazione che non si è rassegnata al messaggio privo di prospettiva e di speranza dei loro adulti di riferimento, ma che si sforza di cercare le tracce della immortalità, della salvezza, della felicità, dell’amore, dello scopo e del senso, nell’essere qui ed ora. Dio c’è per loro, ma non è il Dio santo della Bibbia “che è là”, c’è un bisogno di “rinascita” in loro, ma dipende da loro stessi realizzarla. 

Achille Lauro esprime a suo modo il suo “evangelo”. Noi evangelici sappiamo fare altrettanto comunicando alla sua generazione l’evangelo di Cristo che libera davvero la vita, e che la libera interamente, non solo la Domenica?