La teologia della predicazione di Jonathan Edwards

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Quello che più colpisce dell’Edwards predicatore è la convinzione che accompagnava il suo ministero. Non si trattava per lui di un servizio da svolgere alla leggera, ma in risposta ad una precisa vocazione e in vista di un obbiettivo tanto glorioso quanto di responsabilità. La teologia doveva guidare l’annuncio dell’evangelo, non solo motivandone la pratica, ma anche orientando le attese e determinando la preparazione del predicatore. Tra i tanti modi di descrivere la sua teologia della predicazione, si può dire che, per Edwards, la predicazione doveva essere animata dalla gloria di Dio, essere uno strumento nelle mani dello Spirito Santo, annunciare tutto il consiglio di Dio e mirare alle persone in quanto peccatori in stato di necessità della grazia di Dio.

Innanzi tutto, quella di Edwards è una predicazione animata dalla e finalizzata alla gloria di Dio. Questo è un elemento ricorrente che permea i suoi sermoni, anche quelli che apparentemente si soffermano su altri temi. Se, riprendendo il titolo di una sua opera famosa, la gloria di Dio è lo scopo per cui è stato creato il mondo, la predicazione nasce dal medesimo retroterra e mira allo stesso obbiettivo. Essa deve essere “centrata su Dio”[1], al fine di esaltarne la grandezza, lo splendore, la bellezza, l’amore, la grazia, la giustizia. Nel rendere gloria a Dio, la predicazione produce il bene di chi ascolta. Le esigenze degli ascoltatori e le attese dell’ambiente sono incontrate adeguatamente solo nella misura in cui la predicazione illustra la gloria del Dio che ha parlato in Gesù Cristo.

Inoltre, per Edwards la predicazione deve essere uno strumento nelle mani dello Spirito Santo e non un mero esercizio retorico, né un’occasione per condividere dei pensieri più o meno spirituali. Non a caso, fu la semplice predicazione della Parola di Dio a innescare i risvegli spirituali di cui Edwards fu protagonista e testimone. La Parola predicata è stato lo strumento dinamico dello Spirito, mentre lo Spirito è stato l’agente della Parola. Il protagonismo autentico dello Spirito è sempre all'insegna della Parola e la forza trasformatrice della Parola è sempre l'azione dello Spirito[2]. Anche le operazioni stravaganti dello Spirito nelle stagioni del risveglio andavano comunque testate alla luce della Parola, senza mai spezzare il connubio fecondo tra la verità della Scrittura e l’azione dello Spirito. 

...per Edwards la predicazione deve essere uno strumento nelle mani dello Spirito Santo e non un mero esercizio retorico, né un’occasione per condividere dei pensieri più o meno spirituali.

In più, la teologia della predicazione di Edwards riconosce la necessità di annunciare la Parola di Dio nella sua totalità. Sulla scia del modello puritano, anche Edwards ha predicato in modo espositivo, incentrando cioè il sermone su un testo biblico in particolare. L’analisi minuziosa del testo, la considerazione del contesto immediato e l’attenzione alla sua collocazione nella storia della redenzione e del canone biblico fanno dei sermoni di Edwards dei modelli di serietà evangelica nel fare i conti con il messaggio della Scrittura. La predicazione, tuttavia, è anche applicazione alla situazione attuale e contestualizzazione al momento storico in cui si sta vivendo e, anche in questo, Edwards si è impegnato a permettere che il “là e allora” del testo biblico diventasse il “qui e ora” del suo tempo. Solo così facendo, la predicazione diventa autentica “profezia”. La totalità della Parola di Dio vincola il predicatore a predicare tutto il consiglio di Dio, anche quelle dottrine considerate ostiche come la tragedia dell’incredulità, la certezza del giudizio finale e la realtà dell’inferno. La predicazione si misura nella fedeltà alla Parola di Dio, non nell’adeguamento a ciò che una cultura considera “corretto”, “conveniente” o “opportuno”. 

Infine, la predicazione di Edwards era indirizzata al peccatore bisognoso della grazia di Dio. Non si trattava di un intrattenimento per solleticare l’interesse di un uditorio altrimenti distratto, ma di un appello a fare i conti con l’Iddio vivente e vero sotto il cui giusto giudizio ciascuno è posto. Se la visione della gloria di Dio animava l’annuncio dell’evangelo, la consapevolezza della perdizione dell’uomo lontano da Dio la rendeva appassionata. Per Edwards, l’uomo non può fare alcunché per cambiare la situazione e deve fare affidamento esclusivo sulla grazia di Dio che trasforma l’esistenza. La sua predicazione era fortemente evangelistica proprio perché era nutrita dalla confessione della sovranità di Dio sulla vita del peccatore.

 

[1] Così si esprime John Piper, "Riflessioni sul ministero di Jonathan Edwards", Rivista di pratica pastorale III (2000/1) pp. 20-40.

[2] Sulla relazione tra Parola e risveglio, cfr. Sergio De Blasi, “Jonathan Edwards, teologo del risveglio”, Studi di teologia NS XV (2003/1) N° 29, pp. 54-71.