Oliviero Toscani e la sua fotografia contro
Alla tumulazione della salma di Mussolini a Predappio nel 1957, mentre lo sguardo di tutti era sulla bara, Oliviero Toscani, a quella data quattordicenne, ritraeva il volto addolorato della vedova del duce, Rachele; quel ritratto, che finì subito sulle pagine del Corriere della Sera, diede avvio alla carriera di uno dei più importanti e provocatori fotografi italiani, trovando nella moda quella piattaforma che gli permise di vivere la sua vocazione “controcorrente”.
Oggi, 13 gennaio 2025, muore un pezzo di storia della fotografia italiana. Nel 2023 Toscani aveva scoperto di essere affetto da una malattia rara e la notizia era stata resa pubblica dal fotografo stesso, in un’intervista nella quale afferma di voler essere ricordato per il suo impegno: “Oggi mi ha scritto uno studente inglese e mi ha chiesto se nella fotografia la parte artistica è stata alterata dal mio impegno etico. Ma la fotografia è impegno etico! A me non frega niente dell’estetica fotografica. La Guernica di Picasso ha un’incredibile estetica, ma ha soprattutto una forza sociale di memoria e impegno”.
La sua fotografia andava contro il sistema e questo mezzo era da lui utilizzato per dire qualcosa di più, per puntare i riflettori su temi importanti come l’Aids, la povertà, l’uguaglianza razziale, la mafia, l’omofobia, l’anoressia, la pena di morte. La sua era una vera e propria azione politica.
Quando ha comunicato all’amico Luciano Benetton della sua malattia rara, lui gli ha risposto: “Oliviero, tu sei nato con una malattia rara!”. Rivoluzionario, sovversivo, spesso così esagerato e brutale da esser stato criticato più volte per i suoi metodi, ma coerente nella sua lotta controcorrente. Nel 2007 sceglie per una campagna una modella anoressica denunciando una condizione di fragilità e sofferenza; giudicato negativamente perché “non è così che si fa moda” ma è così che lavorava lui. Lui stesso si considerava un terrorista della pubblicità e infatti ha fatto scandalo, facendo parlare di sé e non solo.
Il fotografo milanese ha rivoluzionato il mondo della pubblicità con le sue campagne innovative e provocatorie, prime fra tutti quelle per Benetton degli anni ’80 e ’90; immagini iconiche che mostravano pienamente il suo approccio alla fotografia, consistente nell’attingere alle problematiche sociali del momento per poi inserirle sulla carta patinata della pubblicità. Il marchio di moda diventa, dunque, il pretesto per promuovere campagne di sensibilizzazione sociale. I suoi scatti non si limitavano a promuovere un prodotto, piuttosto si facevano strumento di riflessione e di sfida alle convenzioni sociali.
Una fotografia riformatrice direi, che ha lasciato un’eredità indelebile nella cultura visiva contemporanea. Il suo dissenso ha fatto rumore: i ritratti dei condannati a morte, il bacio tra il prete e la suora, il malato di Aids, la modella anoressica, sono solo alcune delle immagini frutto dell’anticonformismo perturbante del fotografo.
Oliviero Toscani era dalla parte di chi lotta per gli ultimi, per i diversi, per gli indifesi e certamente il suo impegno sovversivo può essere un esempio non solamente per coloro ai quali è stata data una vocazione artistica, ma per tutti, filtrando però il suo insegnamento e rindirizzandolo verso una prospettiva biblica che ci chiama a denunciare il male e a promuovere il bene, a vivere come persone riconciliate con Dio. Dio stesso richiede un’attenzione particolare per gli stranieri, gli oppressi, gli impotenti, difendendo la loro causa in un’ottica di giustizia. Il suo essere “contro” e il suo mettere il dito nella piaga assomiglia ad una postura “profetica”. Cristianamente parlando, alla profezia, vanno collegate la regalità (ordine, guarigione) e la sacerdotalità (prossimità), che lui non aveva.
Toscani, nella sua ultima intervista, parla della bellezza, una bellezza che consiste nell’essersi liberato di tutto: “La bellezza è che non ti interessano più patria, famiglia e proprietà, la rovina dell’uomo”. Invece, anche la patria, la famiglia e la proprietà possono essere vissuti in modo riformato e controcorrente se posti sotto la signoria di Dio. Non è in queste cose che sta la rovina dell’uomo quanto piuttosto in una malattia rara di cui tutta l’umanità è affetta e che prende il nome di peccato ma che, per mezzo dell’opera di Cristo, è possibile combattere.