Oltre lo stato di emergenza (VI). La sindrome DAD e le vie della guarigione

 
 

La sfida della pandemia è stata per la scuola un’onda più anomala delle altre, ma non certo l’unica. La parola “emergenza” è stata usata anche in precedenza: emergenza italiano ed emergenza matematica (sensibile declino delle conoscenze in queste materie), emergenza abbandono scolastico, emergenza bullismo, emergenza denatalità… Insomma, la condizione “normale” della scuola è quella di stare sempre in allerta. Tuttavia, bisogna ammettere che quella del Covid ha rappresentato per molti aspetti una novità che ci ha offerto l’occasione di ripensare il nostro modo di intendere la scuola.

Tra le misure per fronteggiare l’epidemia Covid ci sono stati investimenti straordinari, immissioni di nuovi docenti, distanziamento, dispositivi di protezione personale, banchi a rotelle e la tanto discussa DAD, ossia didattica a distanza, lezioni on line, seguite da casa. La DAD è andata avanti per due anni in modi diversi a seconda del tipo di scuola e di collocazione geografica. Ora, a emergenza conclusa, dalle valutazioni sull’efficacia di questa nuova modalità sembrano prevalere gli aspetti negativi. Al di là della iniziale euforia mista a terrore che ha preso i docenti, che da un giorno all’altro hanno dovuto reinventarsi e adattare la didattica allo stile “promoter”, sono gli effetti sui giovani a destare apprensione.

Nonostante siano stati distribuiti migliaia di tablet e offerte connessioni Internet a prezzo agevolato, in varie zone dell’Italia si sono registrate carenze che hanno portato a una notevole dispersione scolastica. Tra i critici più convinti della DAD ci sono gli psicologi, secondo i quali la reclusione forzata e l’isolamento hanno avuto conseguenze su ragazzi e ragazze che incidono sulla sfera emotiva e psicologica, mettendo a rischio non soltanto l’istruzione, ma anche il benessere psicofisico, del quale questi professionisti si considerano tutori. Soprattutto è la mancanza di interazione sociale a rappresentare un problema per i giovani, e così stress, ansia, solitudine e depressione hanno messo a rischio il loro equilibrio psicologico, al punto da paventare l’emergere di una “sindrome da DAD”.

Tuttavia, al di là degli studi sui danni cerebrali dell’abuso di connessione (antecedenti il Covid), uno psicologo come Paolo Crepet ha l’onestà di affermare: “Gli effetti negativi sul piano psicologico dal punto di vista scientifico, nel senso di risultati che possono emergere da una ricerca, non ci sono”. 

È vero, potrebbero esserci effetti di natura psicologica che si evidenziano nel lungo periodo e che non si percepiscono fin da subito, ma non è detto che si manifesteranno sicuramente. Quindi, fin da ora possiamo correggere il tiro, prima di tutto ridimensionando un certo allarmismo sollevato sulla questione. È comprensibile che ci siano state conseguenze anche negative sugli studenti sottoposti a DAD, ma bisogna aprirsi alla considerazione degli aspetti positivi. Ogni generazione ha dovuto far fronte a gravi problemi che hanno plasmato in bene e in male lo sviluppo della personalità. Noi possiamo essere grati perché, attraverso la DAD, i ragazzi hanno potuto mantenere il contatto con i compagni e gli insegnanti, sperimentando un modo inusuale ma pur sempre funzionale di comunicare. Bene hanno fatto allora quegli insegnanti che hanno interpretato la DAD non tanto come mezzo per una semplice trasmissione di conoscenze, ma come occasione di imparare nuove dimensioni della relazione educativa, ad esempio con un laboratorio di cucina o con viaggi virtuali, stimolando la creatività e cercando di creare coesione di gruppo.

Se è vero che molte famiglie hanno incontrato difficoltà a seguire i figli in DAD, sia per motivi di lavoro sia per una crescente delega alla scuola della responsabilità educativa, tuttavia sarebbe un peccato non cogliere questa occasione di riappropriarsi di questo spazio, dedicando tempo ed energie a interagire più strettamente con i figli riguardo alla scuola, ai contenuti trasmessi, ai loro interessi e alle loro motivazioni, alle loro difficoltà. 

La scuola non è l’unico luogo in cui la socialità può essere vissuta, né il principale, inoltre ha una diversa finalità. Il luogo istituito divinamente per lo sviluppo della socialità, riconosciuto come primario anche dalla moderna psicologia, è la famiglia. In famiglia la qualità delle relazioni incide molto più profondamente sullo sviluppo del bambino che in qualunque altra realtà. I decisori politici hanno dato alle famiglie maggiori possibilità di affrontare insieme ai loro figli l’emergenza, promuovendo il lavoro agile e part time, anche se non è stato possibile estenderlo a tutti. 

Il modo in cui si affrontano simili emergenze, come anche la guerra, la morte dei congiunti e altre gravi difficoltà, dipende molto dalla visione del mondo che si coltiva in famiglia e il benessere psichico dei ragazzi è interesse in primo luogo dei genitori. Ci sono state anche iniziative educative nate dal basso, a volte in antitesi alla scuola pubblica, che testimoniano di un desiderio di profondo rinnovamento dell’istruzione, che lasci spazio al pluralismo delle idee e degli orientamenti educativi, spazio che nel duopolio scolastico statale/cattolico italiano non si trova.

È anche vero che l’esperienza della DAD va ad aggiungersi ai molti altri “disagi” degli studenti, tra la dispersione scolastica e le difficoltà di apprendimento, l’analfabetismo funzionale e il bullismo. Il fatto che si interpretino le difficoltà degli alunni come disfunzioni patologiche dell’apprendimento porta a considerare la scuola più simile alla clinica che ad un luogo di studio. Il ricorso alla psicologia per la soluzione di questi problemi, tramite i vari specialisti, sembra ormai preponderante rispetto ad altre ipotesi di soluzione. Si circoscrive il problema al contesto scolastico, si osservano i sintomi, si provano strategie per sistemare il meccanismo inceppato. In realtà, la scuola non fa altro che riflettere un malessere generale, famigliare, sociale, sistemico, spirituale, non senza però speranza di guarigione.

È importante sapere che la guarigione può arrivare per chi accoglie il Vangelo di Cristo. “Per voi che temete il mio Nome, si leverà il sole della giustizia e la guarigione sarà sulle sue ali” (Malachia 4,2). In ogni epoca ci sono state persone, famiglie, comunità, che hanno affrontato la malattia umana vittoriosamente. Anche oggi ci sono vite che cambiano grazie alla speranza dell’evangelo. Pur attraversando la stessa pandemia, incontrando forse difficoltà di apprendimento, subendo lo stress della DAD, hanno già intrapreso la via della guarigione, anzi sperimentano già la vittoria sulle difficoltà, crescendo in statura e in grazia davanti a Dio. Tutto può essere illuminato da quel sole, guarito da quel Nome e restaurato nel suo valore e significato ultimo.