Se il lavoro è fonte di stress sottopagato, può diventare luogo di grazia?

 
 

Il primo maggio è passato. E, come al solito, un profluvio di parole, manifestazioni, post, concerti hanno riportato all’attenzione il tema di un lavoro più giusto, equo e sostenibile. A fare da sfondo al 1 maggio quest’anno, un articolo del Corriere titolava così un commento allo “State of the Global Workplace”, l’annuale valutazione di Gallup sul mondo del lavoro a livello globale: “I lavoratori italiani? Tristi, poco coinvolti e stressati: cosa dicono i dati (e perché manca il buon lavoro)”.


È evidente che ci troviamo in un momento critico. L’articolo dice che “l’Italia si colloca tra gli ultimi Paesi quanto a coinvolgimento: appena il 10% degli intervistati si sente partecipe della vita aziendale”. In aggiunta, il 49% degli intervistati si dicono stressati dal lavoro. Come se non bastasse, i salari italiani crescono meno di tutti i Paesi più industrializzati. 


Se il lavoro non è più sinonimo di prosperità e benessere, allora forse bisogna rivedere il suo significato. Senza idealizzarla, la prospettiva cristiana certamente può dire qualcosa. Un recente tentativo di mettere a fuoco come la visione biblica impatta il lavoro può essere una utile lettura il libro di Bryan Chapell, Grace at Work: Redeeming the Grind and the Glory of Your Job  Wheaton, Crossway 2022.


Chapell è un teologo, tra l’altro autore di un ottimo volume sull’omiletica disponibile anche in italiano: La predicazione cristocentrica (2016). La sua prospettiva non vuole entrare nelle dinamiche attuali del lavoro ma ribadire la prospettiva cristiana che vede il lavoro come portatore di una propria dignità e legittimità, nella sua varietà, perché è un dono di Dio. 


“Dio usa ogni vocazione per realizzare i suoi scopi e, di conseguenza, ognuna lo onora” (p.31). Per riflettere un modo diverso di lavorare che responsabilizza e fa la differenza, bisogna intendere il lavoro con un obiettivo molteplice. Per dirlo con le parole dell’A., “quando siamo nel nostro posto di lavoro, portiamo il nome del nostro Salvatore” (p.39). Il lavoro non è solo per noi, ma ha un effetto sugli altri (p.45). 


Il lavoro non è fine a sé stesso. Se releghiamo il lavoro ad un’appendice della nostra vita, allora viene considerato con qualcosa di poco importante. Invece può e deve essere vissuto con integrità. Certamente, così come ogni dimensione della vita, anche il lavoro è stato sfigurato dal peccato e questo rende drasticamente le cose più complicate (p.67). 


Certamente al lavoro è collegato un reddito: si lavora anche per ricevere uno stipendio per sé e per la propria famiglia, ma anche per essere di benedizione ad altri: poveri, carcerati, rifugiati, orfani, malati (pp. 78-79). La visione cristiana del lavoro spinge all’eccellenza, usando tutti i doni ricevuti, cioè “quando facciamo buon uso delle risorse che Dio mette nella nostra vita, lo benediciamo onorando i suoi scopi” (p.97). 


Il lavoro non è l’unica cosa che conta veramente, ma è una parte della vita. Dio concede tanti doni e tante vocazioni e tra queste c’è anche il lavoro. L’A. mette in guardia del rischio di “workaolism” sottolineando che è importante avere un buon equilibrio nelle priorità della vita (p. 202). 


Il libro di Chapell ribadisce la cornice biblica, ma rimane molto al di qua nel calarla nelle questioni contemporanee del lavoro. Usando l’etica delle prospettive, asserisce la bontà della “norma” biblica e la necessità di un coinvolgimento “esistenziale” guarito al lavoro, ma non sfiora le condizioni “situazionali” del lavoro di oggi. Il discorso è utile, ma incompleto in vista di una prospettiva cristiana compiuta del lavoro. 

Ecco i punti di forza del libro: la visione cristiana del lavoro incoraggia a vivere il lavoro in modo guarito, senza scissioni e senza compromessi. Essa è portatrice di un approccio dinamico e vivo al lavoro che va oltre la polarizzazione sacro-profano. E’ una visione che risulta essere ricca e di una propria identità che può fare la differenza in ogni luogo se vissuta e praticata. Davanti alla crisi del lavoro oggi più che mai c’è bisogno del “buon lavoro” cristiano per rilanciare la testimonianza evangelica in un mondo del lavoro sempre più povero e stressato.