Chi sarà il prossimo papa? L’identikit “cattolico evangelico” di George Weigel

 
chi sarà il prossimo papa?
 

C’è una generale percezione che il papato di Francesco sia entrato in una fase irreversibilmente declinante, una sorta di autunno inoltrato che prelude alla fine di un’età. Non è solo per una questione anagrafica: sì, papa Bergoglio è anziano e di salute cagionevole. Anche se l’età avanza inesorabilmente, il motivo è più profondo e ha a che fare con la parabola discendente in cui il pontificato si trova a barcamenarsi. Iniziato in modo scoppiettante con il linguaggio della “missione” e della “riforma”, in realtà il quasi decennio di Francesco si è da subito ingolfato in mille difficoltà, soprattutto interne alla chiesa cattolica e molte causate dalle ambiguità dello stesso Bergoglio, al punto che la spinta propulsiva si è rivelata scomposta, se non proprio inconcludente.

Vista la forse imminente chiusura di una stagione, la domanda è dunque legittima: dopo Francesco, chi verrà? Chi sarà il nuovo papa? A porsela non è qualche acerrimo laicista e nemmeno uno scafato bookmaker, ma un cattolico romano doc, uno studioso come George Weigel, già biografo di Giovanni Paolo II (Testimone della speranza. La vita di Giovanni Paolo II, Milano, Mondadori 2005) e autore, tra l’altro, di un libro in cui propone un cambiamento di significato del termine “evangelico”: da descrittore della fede protestante ad aggettivo di una variante di cattolicesimo romano impegnato (Cattolicesimo evangelico, Siena, Cantagalli 2016). Weigel è un intellettuale di peso, esponente del cattolicesimo americano conservatore che tanto filo da torcere sta dando “da destra” a Francesco.

Nel libro Il prossimo papa. L’ufficio di Pietro e la missione della chiesa, Verona, Fede & Cultura 2021, Weigel traccia un identikit del nuovo papa. E nel farlo si capisce anche quale sia la sua lettura critica del papato di Francesco.

Il prossimo papa sarà un uomo che era bambino o comunque giovanissimo durante gli anni del Concilio Vaticano II (1962-1965). Per la prima volta Roma avrà un papa più “distante” dal clima e dalle polemiche conciliari degli Anni Sessanta-Settanta e, per questo, forse avrà la mente più libera rispetto alle diatribe sulla sua interpretazione (il Vaticano II è stato in continuità o in rottura con la tradizione?). Weigel ammette (ma non ci vuole molto acume per riconoscerlo) che “ci sono profonde divisioni sulla dottrina e sull’identità cattolica, sulla prassi e sulla missione, all’interno della stessa Chiesa” (p. 9). Il prossimo papa se le ritroverà sul tavolo, più ingombranti che mai. Come le affronterà? 

Secondo Weigel, il pontefice che verrà dovrà trovare ispirazione da Leone XIII (1810-1903) il cui papato generò un fermento nella vita della chiesa: l’ancoraggio alla filosofia tomista, lo sviluppo della dottrina sociale, la volontà di conquistare spiritualmente il mondo. I riverberi di questa vitalità sono stati poi incanalati da Giovanni XXIII nel Vaticano II e da Giovanni Paolo II nel Grande Giubileo del 2000. Si tratta, per lo studioso americano, di un cattolicesimo militante, fedele alla sua dottrina tradizionale, integro nella sua dottrina morale, coerente nelle sue prassi ecclesiali, composto di cattolici tutti di un pezzo. Per Weigel, la “nuova evangelizzazione” collega l’eredità che da Leone XIII arriva a Giovanni Paolo II e riassume il programma del cattolicesimo futuro: il nuovo papa “dovrà dedicarsi pienamente alla nuova evangelizzazione come la grande strategia della Chiesa del XXI secolo” (p. 23). 

Per “evangelizzare” la chiesa di Roma deve, secondo Weigel, riappropriarsi della sua identità di chiesa sacramentale, gerarchica, coniugando tutto ciò con il suo patrimonio consolidato di dottrine e prassi consegnate dalla tradizione: la “pienezza della fede cattolica”. Lo studioso americano mette in guardia il cattolicesimo dal percorrere la via fallimentare del protestantesimo liberale che, a furia di adattarsi ai tempi moderni, ha perso le sue convinzioni e ha anche visto svuotarsi le chiese. Dal suo punto di osservazione nord-americano, Weigel dice che “i rami in crescita del protestantesimo nel mondo sono evangelici, pentecostali o fondamentalisti” (p. 56), tutti caratterizzati da “un insegnamento chiaro e salde aspettative morali”. È come se volesse dire: il cattolicesimo può seguire la china del protestantesimo liberale, diventare “light” (cioè confuso nella dottrina e mischiato al mondo) e morire, oppure deve farsi provocare dall’evangelicalismo “pieno” e rifiorire. Per Weigel, il “cattolicesimo light porterà al cattolicesimo zero” (p. 59), alla perdita della fede e ad un processo dissolutivo. Per questa ragione, auspica che il nuovo papa sia espressione di un cattolicesimo identitario, pieno, convinto, votato a “evangelizzare” (cioè cattolicizzare) il mondo piuttosto che a farsi mondanizzare da esso.  

In controluce si capisce che quanto Weigel dice a proposito del nuovo papa sia una critica al papa regnante. Francesco è visto come invischiato nel proporre un cattolicesimo light: parla di “missione” (cfr. la Evangelii Gaudium), ma la declina in modo molto diverso dalla “nuova evangelizzazione”. Per Bergoglio missione è andare incontro ai “fratelli tutti” con la misericordia, mettendo in risalto l’unità già esistente tra tutti gli esseri umani senza attardarsi sulle diversità. La strategia è di evitare di affrontare le controversie, non sfidare nessuno e di lanciare messaggi all’insegna della misericordia senza spina dorsale dottrinale. Tutto il contrario di quello che spero Weigel. È chiaro che il nuovo papa di Weigel dovrà fare una sterzata vigorosa rispetto alla linea di Francesco.  

Weigel usa spesso un linguaggio “evangelico” per descrivere il papa che verrà. Parla di fervore, di convinzioni, anche di conversione: tutte cifre non tanto dei contenuti dottrinali, quanto dei vissuti della fede evangelica. Parla al contempo un linguaggio molto cattolico: fa riferimento alla salvezza tramite il battesimo, alla gerarchia romana, al primato papale, all’impegno mariano. Da cattolico tradizionalista, Weigel crede che tutto del cattolicesimo (Trento, Vaticano I, dogmi mariani, le devozioni, ecc.) debba essere tenuto e niente disperso. Tutto questo è molto cattolico. Lui vuole fare credere che il cattolicesimo romano possa (anzi debba) essere anche “evangelico”. Molto tradizionale nella dottrina (anti-evangelica), molto appassionato e impegnato nelle dinamiche (simil-evangeliche). È questo il tipo di papa nuovo che auspica.

Quando fu eletto, anche Francesco è stato presentato come molto vicino alla sensibilità “evangelica”. La preghiera spontanea, il linguaggio esperienziale, un certo fervore nella spiritualità sembravano farne un papa diverso: molti evangelici ne furono colpiti, salvo poi scoprire che Bergoglio era ed è anche molto mariano, universalista, gesuita, anti-evangelico. Ora Weigel, criticando indirettamente Francesco, auspica un papa cattolico “evangelico”, anche se molto diverso dalla linea seguita da Bergoglio. Sia Francesco che Weigel hanno un’accezione esperienziale (non dottrinale) di “evangelico”. Vogliono appropriarsi dei modi evangelici, rimanendo ancorati alla dottrina tradizionale (Weigel) o “in uscita” (Francesco) del cattolicesimo romano. Sia l’uno che l’altro travisano la fede evangelica e la vogliono liquefare nel soluto dogmatico-istituzionale del cattolicesimo romano.

Nonostante ciò che pensa Weigel, con questo papa o con il prossimo, non ci sono cambiamenti decisivi all’orizzonte.