Libertà religiosa: è un problema in Italia? Intervista a Damaris Marletta

 
Libertà religiosa: è un problema in Italia? Intervista a Damaris Marletta
 

Quando il dibattito pubblico in Italia si concentra sulla libertà religiosa, tendenzialmente lo fa parlando di Paesi lontani, di realtà estranee ai paesi democratici occidentali, eppure, come dichiarato in un’intervista rilasciata al magazine olandese IRS, l’avvocato Damaris Marletta, e non solo lei, ritiene che la libertà religiosa sia un dossier ancora aperto e su cui lavorare nel nostro paese.

La missione di IRS è di sostenere la testimonianza evangelica tra i cattolici europei ed è interessante che abbia ritenuto necessario riportare un articolo sulla questione della libertà religiosa in un Paese, non solo a maggioranza cattolica, ma in cui si trova anche lo stato Vaticano, con il quale, nel corso della storia ha costruito delle interdipendenze che hanno plasmato la cultura e la struttura della società.

Marletta, nata e cresciuta a Catania, laureata in giurisprudenza e membro di una chiesa evangelica a Roma, lavora da qualche anno per la Commissione Libertà religiosa dell'Alleanza Evangelica Italiana, il cui scopo è quello di promuovere la libertà religiosa di tutti i cristiani e di ogni cittadino, nata proprio per monitorare la situazione del pluralismo e delle minoranze in Italia.

La prima domanda a cui ha dovuto rispondere è quella che sorge spontanea: perché una commissione sulla libertà religiosa in un paese come l’Italia? Marletta ha chiarito che la legislazione esistente in materia di libertà religiosa non è all’altezza di un paese democratico, risale al periodo fascista e la visione a lungo termine dell’Allenza è quella di rendere il tema rilevante per l’agenda politica in modo da avere una legislazione rinnovate e realmente pluralista.

Il problema principale risiede nel fatto che per lo Stato italiano esistono tre tipi di comunità religiose: la prima è la Chiesa cattolica con cui è stipulato un concordato ad hoc, la seconda comprende le confessioni che hanno un’intesa con lo Stato e la terza che racchiude le confessioni che non hanno questo tipo di rapporti con lo stato.

In generale, le denominazioni evangeliche più piccole o le congregazioni libere appartengono alla terza categoria. La legge italiana dichiara che questi culti sono “autorizzarti”, dicitura che stona molto con quella che dovrebbe essere l’ideologia di fondo di uno stato realmente laico. In effetti questi culti risultano essere autorizzati ed accettati, ma molte sono le disparità con il cattolicesimo romano. Esempi lampanti emergono nel caso delle nozze, in cui i pastori appartenenti “alla terza categoria” non sono autorizzati a celebrare matrimoni o non hanno diritto alla cura pastorale nelle carceri e negli ospedali dove invece i preti hanno libero accesso e permessi speciali, anzi, nel caso dell’assistenza carceraria, ricevono uno stipendio dallo stato italiano.

Stesso scenario si presenta nell’ambito dell’istruzione pubblica dove l’insegnamento della religione cattolica ha un posto privilegiato e dove gli insegnanti nominati dalla curia, vengono però stipendiati dallo stato come gli altri, avendo, tra l’altro, accesso all’insegnamento evitando i concorsi pubblici obbligatori per tutti gli altri aspiranti insegnanti.  

Secondo Marletta il problema non è tanto della Chiesa cattolica, ma di uno Stato che si autodefinisce laico ma la cui legislazione ha delle grossissime lacune in materia di pluralismo. Da più di quarant’anni si parala della necessità di una nuova legge che rispecchi la realtà quotidiana della religiosità italiana e che non si basi semplicemente sui numeri dei battezzati nominali registrai così come deciso nel 1984. È evidente che riconoscere i ministri di culto solo per comunità che registrano almeno 500 membri è un dato che si basa su un presupposto falsato dalla preponderanza di battezzati cattolici in Italia, ma che nulla ha che vedere con l’effettiva partecipazione religiosa in Italia.

Un Paese democratico necessita di andare avanti e di munirsi di una legislazione che tuteli realmente ogni minoranza presente al suo interno. È imbarazzante autodefinirsi Stato laico, quando ci sono palesi differenze di trattamento che penalizzano le minoranze. Gli evangelici italiani hanno il compito e la responsabilità di trattare il tema e sensibilizzare il dibattito pubblico in favore di tutti i cittadini che vogliamo godere dei diritti di uno stato democratico.