Diversamente abili (I). Se l’Imago Dei cambia tutto

 
 

Nel Lausanne Occasional Working Paper (35B, 2004), le persone con disabilità sono state etichettate come il più grande gruppo di persone non raggiunte al mondo”. Così si legge nel fascicolo di Studi di teologia sul tema della disabilità (Supplemento N. 22, 2024) e ciò ha spinto le chiese evangeliche Breccia di Roma ad organizzare due serate pubbliche sul tema: “Diversamente abili. Chiese e comunità accessibili per vite integrate” (1 ottobre, 5 novembre). 


È emersa la necessità di interrogarci, come comunità di fede, su chi vogliamo essere per le persone con disabilità: quali mancanze dobbiamo riconoscere e quali passi concreti possiamo compiere affinché le nostre chiese diventino ambienti realmente inclusivi, in cui ogni persona con disabilità possa partecipare in modo pieno, attivo e significativo alla vita di chiesa.


Il primo incontro si è aperto con una riflessione sulle definizioni mediche e sociali della disabilità, le quali, in molti casi, hanno causato profonde ferite, definendo la disabilità come una “carenza priva di scopo o significato”.


Partendo da questa realtà, abbiamo ricostruito una visione della disabilità alla luce della Parola di Dio. È la Scrittura, infatti, a restituire dignità a ogni persona, con o senza disabilità. Le fondamenta di questa ricostruzione si trovano nell’Imago Dei: ogni essere umano è stato creato a immagine di Dio (Genesi 1). È questa verità che definisce ogni individuo. Chi siamo in relazione a Dio è più importante di qualsiasi abilità, aspetto o capacità intellettiva che possiamo possedere.


Tuttavia, poiché il peccato è entrato nel mondo e si manifesta in molte forme, anche la disabilità può esserne una conseguenza. Essa è reale, non come risultato di un peccato personale, ma come effetto del peccato universale. Eppure, anche in questa realtà, Dio è infinitamente sapiente: nella disabilità, Egli può stabilire uno scopo. È nella debolezza, infatti, che Dio manifesta la sua potenza.

Egli ha scelto i deboli e i disprezzati per confondere coloro che confidano in sé stessi. Uno degli esempi più significativi è quello di Mosè, un uomo con difficoltà nel parlare, eppure fu proprio lui a sfidare un grande faraone, capo di una grande nazione.


E fin qui abbiamo posto fondamenta solide e perenni. Come possiamo continuare a ricostruire? 

In questa parte abbiamo approfondito l’insegnamento dell'apostolo Paolo nella prima lettera ai Corinzi, capitolo 12, dove si parla di un unico Spirito che distribuisce diversità di doni a ciascuno, come vuole, per il bene dell’unico corpo che è in Cristo. In altre parole: molte membra, diverse funzioni, ma un solo Corpo e un solo Spirito. Questa verità è e deve essere applicabile a ogni membro della chiesa, compresi coloro che vivono una disabilità. La chiesa ha la responsabilità di fare in modo che questa realtà si realizzi.


Per questo motivo è fondamentale riconoscere i doni che lo Spirito Santo ha affidato anche alle persone con disabilità. Questo richiede tempo e relazione, ma è essenziale per comprendere quali funzioni possano svolgere all’interno del corpo di Cristo, perché come dice l’apostolo Paolo, le membra deboli sono indispensabili: senza di loro, il corpo di Cristo è incompleto. 


Possiamo anche dire: "Il corpo di Cristo è disabile senza le persone con disabilità". Allo stesso tempo, anche le membra più fragili hanno bisogno del corpo, perché solo nella relazione con gli altri possono compiere pienamente la loro funzione, servendo la propria comunità e Signore.


Da qui è nato un confronto sulle barriere che spesso amplificano la disabilità e che, nella maggior parte dei casi, sono affrontate e abbattute solo dalle persone con disabilità e dalle loro famiglie. Non dovrebbe essere così. Tutti noi dobbiamo prendere la responsabilità di ridurre queste barriere, che possono essere: barriere architettoniche, procedure e prassi ecclesiali, oppure atteggiamenti e pregiudizi delle persone. Per amore verso queste persone, la chiesa è chiamata a rivedere i propri spazi, le proprie pratiche e i propri ministeri, affinché siano accessibili a tutti.


La sfida è di creare comunità inclusive, capaci di essere presenti non solo nelle gioie, ma soprattutto nelle sofferenze dei membri più fragili, e a non fermarsi alla sola gentilezza, ma andare oltre: scegliere queste persone come amici.


(continua)