Fake news e rischio vangeli fake

 
 

Fake news è diventata un’espressione sulla bocca di tutti. Notizie spazzatura, comunicazioni false, contenuti taroccati: ecco cosa sono le fake news. Nel vasto ventaglio di notizie spazzatura, c’è anche una sedicente predicazione che si spaccia come tale, ma che altro non è che una variante religiosa di fake news. Quanto siamo in grado di riconoscere l’informazione tossica? Quanto siamo capaci di discernere la predicazione di un falso vangelo rispetto all’evangelo di Gesù Cristo? Siamo sicuri che la sempre più crescente propensione a credere alle cosiddette fake news, anche tra gli evangelici, non mini in qualche modo la capacità di riconoscere la predicazione della Buona notizia per eccellenza? 

Convocati dal Movimento di Losanna, il 22 ottobre oltre 120 persone da tutto il mondo si sono collegate virtualmente per partecipare ad un seminario intitolato “La buona notizia in un mondo di false notizie: conoscere la vera storia in un’età di disinformazione" per approfondire il bisogno di tornare al vero vangelo in un mondo di falsi profeti. Tra gli oratori comparivano Jacob Cherian (formatore a Bangalore, India), Ligon Duncan (teologo nord-americano) e Simon Chan (teologo di Singapore), moderati da Conrad Mbewe, pastore della Kabwata Baptist Church nello Zambia.

Questi leader provenienti dall’Asia, Africa e Nord America hanno riportato che, nelle loro aree, il nominalismo cristiano sta causando seri danni all’annuncio dell’evangelo. Sempre più persone si definiscono “cristiani casual” attribuendo il loro essere cristiani ad uno stile di vita socialmente ritenuto corretto ma vuoto spiritualmente. Altri sedicenti cristiani non conoscono realmente Dio e si fermano ad una conoscenza della Parola ridotta a meri slogan deformati. Il caso del vangelo della prosperità, diffuso a macchia d’olio nell’evangelicalismo, è emblematico di queste tendenze. 

Le conclusioni dell’incontro hanno individuato alcune cause di queste tendenze: 

  1. la crescita solo numerica del numero dei credenti, ma senza un reale ancoraggio alla memoria storica del popolo di Dio;

  2. una identità evangelica annacquata e inquinata da elementi spuri; 

  3. una ecclesiologia debole che non prevede percorsi di crescita all’interno di comunità solide;

  4. il fai-da-te del discepolato che finisce per essere avvelenato da suadenti messaggi simil-cristiani e lontani dall’evangelo. 

A livello globale, l’evangelicalismo è molto variopinto e attraversato da mille spinte e tensioni, molte delle quali creano un brodo di coltura favorevole ad una testimonianza evangelica fake.  Chiese forti ancorate alla memoria storica del popolo di Dio nei secoli, con una chiara identità plasmata dal vero vangelo biblico: questa è la sola soluzione alle fake news spacciate per evangelo. 

In un mondo globalizzato come il nostro, alcune sfide sono simili ovunque e anche l’Europa e l’Italia non sono immuni da questo rischio. In Italia, ad esempio, nel 2018, il 57% delle fake news riguardava notizie riconducibili a fatti di cronaca, politica interna ed internazionale. Seguiva la categoria di notizie di carattere scientifico e tecnologico (19%) e del mondo cultura e dello spettacolo (16%). Nel 2020 la maggior parte riguarda la pandemia da Covid-19. 

Il problema sembra in crescita, non è relegato alla semplice disinformazione e può generare disordini nella vita politica, rischi per la salute e per l’ordine pubblico in generale. I dati riguardo all’analfabetismo funzionale (cioè l’incapacità – totale a parziale – di un determinato individuo nel comprendere e valutare in maniera idonea le informazioni che quotidianamente elabora) e l’analfabetismo digitale (cioè l’incapacità delle persone di adoperare un computer e di districarsi tra le informazioni pubblicate in Internet) non sono incoraggianti e permettono alle notizie false di insinuarsi nelle credenze comuni. 

L’Impegno di Città del Capo (2010), frutto del terzo congresso mondiale del Movimento di Losanna, contiene una sezione sulla verità e i media globalizzati (2.4). In essa si incoraggiano gli operatori evangelici della comunicazione e tutti i fruitori di media ad “un impegno rinnovato, creativo e critico” nei confronti dell’informazione in quanto “ambasciatori di Dio in verità, grazia, amore, pace e giustizia”. Ciò significa, tra l’altro, lo sviluppo di una “coscienza più critica dei messaggi che riceviamo e delle visioni di mondo sottostanti”. Anche questo è un servizio alla testimonianza dell’evangelo.