Giustizia redentiva? Spunti da un’omelia del cardinal Parolin

 
 

La giustizia umana ha un ruolo redentivo? Il carcere può redimere il reo? Di questo ed altro ha parlato sabato 2 marzo 2024, nella Cappella Paolina del Palazzo Apostolico, il Cardinale Segretario di Stato Parolin, inaugurando il 95° anno giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Durante la messa è stato fatto riferimento alla parabola del Figliol prodigo (Luca 15,11-32) descrivendo la scelta del padre quale punto di riferimento per comprendere i meccanismi della giustizia di Dio. Per Parolin essa non dev’essere confusa con “una semplicistica e generalizzata amnistia” in quanto, sebbene incondizionata, richiede il pentimento per il male commesso. Il peccatore pentito, dunque, può scoprire la costante disponibilità del padre ad accoglierlo nuovamente e a fare festa per lui donandogli, così, una dignità di molto maggiore a quella precedente. Questo principio potrebbe “esplicarsi anche a livello temporale, nel diritto carcerario, «limitando ai casi estremamente necessari la pena detentiva e rendendola, al tempo stesso, il più possibile “redentiva”, come effettiva occasione di rieducazione e di riscatto per l’uomo che sbaglia». 

E’ condivisibile il fatto che il perdono di Dio non possa essere confuso con una generica amnistia e che il perdono richiede il pentimento; tuttavia, i motivi addotti dal Cardinale a sostegno di ciò sollevano questioni di particolare importanza. 

Anzitutto, sembra che il perdono di Dio dipenda dalla capacità umana di pentirsi e non dalla grazia di Dio che permette tale pentimento. Un secondo aspetto riguarda invece il senso della redenzione che sembra associato alla possibilità della rieducazione e del riscatto personale, invece che all'opera di Cristo.

Da un punto di vista biblico, per comprendere il senso e la portata della redenzione operata da Cristo occorre considerare che quando moriva sulla croce, Egli stava rappresentando il suo popolo (Matteo 20,28; Ebrei 2,17), stava sostituendo ogni credente, ricevendo su di sé le conseguenze del loro peccato (Isaia 53,4,5,12) e stava soddisfacendo la giusta ira di Dio, rendendolo nuovamente propizio (1 Giovanni 2,2).

Alla luce di questa cornice, è agevole rendersi conto che il vero motivo per cui il perdono di Dio non è una generica amnistia sta nel fatto il Signore Gesù ha dato la sua vita per renderlo possibile (Ebrei 9,22). Non dipende dunque dalla capacità umana di pentirsi, ma da Cristo che ha reso Dio nuovamente propizio. Infatti, lo stesso figliol prodigo non si pente da sé stesso, ma per la grazia di Dio (Luca 15,14) e i beni con cui il padre festeggia il suo ritorno sono beni del secondo figlio, dato che l’eredità era stata spartita tra i due, e dunque qualcuno ha pagato quella festa immeritata, qualcuno ha pagato la possibilità di una nuova dignità.

Altresì, dalla cornice biblica delineata brevemente appare evidente come la redenzione non possa essere considerata una mera rieducazione, né un riscatto personale intriso d’umanesimo. Infatti, tanto la rieducazione quanto il riscatto personale possono al più essere ricompresi nella soddisfazione che Cristo ha operato: un reo può riparare alle conseguenze del suo comportamento illecito e può fare delle nuove scelte per la sua vita, soddisfacendo così la persona offesa dal reato e la società in cui questo è avvenuto, ma la soddisfazione non esaurisce il senso della redenzione.

In conclusione, ben vengano criteri che rendano la giustizia capace d’incontrare coloro cui si rivolge: il reo, concedendogli delle nuova prospettive; la vittima, coinvolgendola nel processo di giustizia e offrendole riparazione; la società, riconoscendo il peso pubblico che taluni fatti effettivamente hanno, ma tutto ciò non potrà mai essere considerato “redentivo”, essendo solamente Gesù Cristo colui che ha compiuto una redenzione perfetta, una volta per sempre, per tutti coloro che credono in Lui. Ogni tentativo di costruire una redenzione basata sugli sforzi umani sminuisce la sufficienza del sacrificio e della resurrezione di Cristo. Nel novero di tali tentativi va dunque inserito l’invito del Cardinale a sfruttare i prossimi giorni di Quaresima quale tempo favorevole a quella rieducazione e a quel riscatto citati. 

Quand’anche si adempissero tutte le aspettative del sistema giudiziario o del sistema ecclesiastico in cui si vive, ciò non sarebbe sufficiente per essere considerati giusti da Dio, al cui cospetto ci si può presentare liberamente solo avendo rinunciato alle proprie sporche vesti, fatte di buone opere, laiche o meno, per rivestirsi solamente delle bianche vesti della Giustizia di Cristo, fatte del più pregiato dei materiali: il suo sangue. Questa è l’unica giustizia veramente e sufficientemente redentiva che possiamo ricevere (Atti 4,12).