Integrare fede e lavoro. Spunti da un seminario a Manchester

 
 

Integrare fede e lavoro? Un obiettivo non impossibile se pensiamo che l’Evangelo deve orientare la vita e far sì che ogni pensiero sia sottomesso alla signoria di Cristo (2 Corinzi 10,4). Dove iniziare? Da dove partire? Chi coinvolgere? Dove farlo? Questo è stato il tema della conferenza “Faith and Work”, tra il 17 e il 20 ottobre, a cura della rete “Fede e lavoro” della chiesa presbiteriana Redeemer di New York, USA. 


La città che ha ospitato la conferenza è stata Manchester, città operaia e industriale, giovane e dinamica. Non solo. Ha facilitato l’organizzazione e la logistica, ma è stata probabilmente la cornice adatta perché la storia del lavoro è passata anche da Manchester.

È a Manchester, precisamente alla Chetham's Library, dove fu scritto “La situazione della classe operaia in Inghilterra” (1845). La città fu anche la sede del primo congresso sindacale al Mechanics' Institute in David Street (1868). Manchester, capitale del libero scambio, fu un tempo teatro di rivolte per il pane e il lavoro. Il 16 agosto 1819, una grande folla di lavoratori protestò in St. Peter's Square e fu brutalmente massacrata. Successivamente, fu costruita la Free Trade Hall per commemorare l'abrogazione delle Corn Laws nel 1846. L'ideologia capitalista e il libero mercato hanno trovato nella città industriale un luogo adatto per svilupparsi.


Integrare fede e lavoro significa non vederli più contrapposti o lontani, ma metterli nella cornice della storia biblica di creazione, caduta, redenzione, riconciliazione. Questo decostruisce ogni idea o pensiero secondo cui il lavoro è diviso in secolare o profano, o come sola appendice della vita, o come solo un mezzo di sussistenza. Questo è possibile partendo da 3 dimensioni che toccano la vita di ogni credente. 


La chiesa

La conferenza è stato un ottimo tempo per valutare come il nostro contesto ecclesiale evangelico parla di lavoro, affronta il lavoro, tratta il lavoro. È emerso che molto spesso le chiese, globalmente, sono molto concentrate alle cose “spirituali” più che essere sensibili alle questioni reali come il lavoro.

Le chiese evangeliche sono luoghi di preghiera, di predicazione, di canti, di lettura biblica, di discepolato: ma quanto ognuno di questi momenti che caratterizzano la vita ordinaria della chiesa sono collegati al lavoro? Il lavoro è presente nelle nostre predicazioni? Ci sono benvenuti, preghiere, o benedizione finali che sono collegati anche al lavoro? Ricordiamo: Gesù usa il lavoro tantissimo nelle sue parabole per comunicare il suo messaggio. Oppure, quando pensiamo ai momenti di discepolato, quanto l’area del lavoro è coinvolta? Paolo parla ai servi, ai padroni, a persone che lavorano ed orienta le loro vite con l’Evangelo.

Quanto le nostre preghiere hanno il lavoro al centro? Il lavoro va integrato nella vita della chiesa, attraverso la liturgia, il discepolato, la preghiera, nella missione. La chiesa è anche un luogo dove vocazioni e lavori vengono messi al servizio. 


La persona

C’è la chiesa, ma c’è anche il credente che affronta il proprio posto di lavoro. La base di ogni cambiamento è la relazione con Dio, integrale e profonda. Durante la conferenza, è stato investito molto tempo alla valutazione della condizione del cuore. Se veramente siamo capaci di integrare fede e lavoro, allora i frutti sono evidenti.

Una giusta comprensione del lavoro come vocazione è un’opportunità di servizio per gli altri. Ogni credente è chiamato a vedere il proprio lavoro con occhi diversi, vivendolo con responsabilità, qualunque esso sia, in qualunque ambito esso si svolge, a qualunque condizione viene praticato, finché legittime. 


La città

La chiesa e il lavoro non si svolgono nel vuoto. C’è una dimensione contestuale che va compresa, ed è quella della città. L’integrazione tra fede e lavoro parte dalla chiesa, passa per cuori rinnovati e confluisce nei contesti cittadini dove ordinariamente il lavoro viene svolto. 


Chiesa, persona, città aiutano ad avere un punto di partenza per l’integrazione tra fede e lavoro, ma sono ancora troppo limitate. Se consideriamo la storia complicata del lavoro nel corso dei secoli, come possiamo fare un passo avanti? 


Cosa ne è della norma che regola il lavoro? Ad esempio, pensare di cambiare o trasformare il lavoro senza comprendere la cornice dentro cui si muove è come dare a pugni ad un muro di gomma. Ogni tentativo che abbia l’ambizione di trasformare il lavoro con l’evangelo deve fare i conti con ciò che regola il lavoro, che lo modella, che lo plasma.

La prospettiva normativa aiuta a rivedere il lavoro sistematicamente e in modo architettonico. Si tratta di un esercizio non sempre facile, ma necessario perché solo allora una visione biblica del lavoro può essere veramente trasformatrice.  In quali condizioni il lavoro viene svolto, come viene svolto, con chi viene svolto? Può essere facile parlare con top manager che hanno un forte potere decisionale, ma cosa ne è del dipendente ultimo della scala gerarchica? Cosa ne è delle disuguaglianze salariali? Cosa ne è del lavoro povero? Inoltre, come bilanciare una vita multivocazionale con quella lavorativa?


Non abbiamo la soluzione a tutte queste domande. Tuttavia, un tentativo in Italia lo stiamo facendo andando un pochino oltre la dimensione “individuale”, che pur necessaria, ma non esauriente, attraverso il seminario “Buon Lavoro”  e una pubblicazione come  “Buon lavoro”, Studi di teologia – Suppl. 18 (2020). 


Ad oggi, come evangelici a livello globale facciamo fatica ad avere una teologia del lavoro degna di questo nome. Questo è possibile solo se applichiamo una triplice prospettiva: situazionale, individuale, normativa, così come la Bibbia ci incoraggia a fare. Non è più il tempo di lasciare il lavoro a sè stesso.

Certamente, dobbiamo incoraggiare le chiese a tematizzarlo nelle liturgie e nella catechesi; certamente, dobbiamo attivare circoli di riflessione e di condivisione che abbiano il lavoro come tema centrale. Bisogna però essere consapevole che sino a quando non lo affronteremo anche in modo “architettonico”, gli staremo solo facendo il solletico.