La contemporaneità tra il già e non ancora. Uno spunto di Agamben verso la Bibbia

 
 

Alle domande “cos’è il contemporaneo?” e “cosa significa essere contemporanei?” verrebbe spontaneo rispondere: “ciò che appartiene all’età presente” e dunque “essere attuali, vivere il/nel qui ed ora”.

Si è contemporanei in relazione ad un’epoca, correndo dietro l’hype intellettuale, musicale, cinematografico per essere moderni, al passo coi tempi, intrecciando il filo del proprio vissuto nella tela che ritrae il proprio tempo. Come se ogni epoca avesse un ritratto proprio, che la rendesse riconoscibile, ed essere contemporanei significasse semplicemente essere parte di quel quadro. 


Al tema della contemporaneità, il filosofo Giorgio Agamben ha dedicato una lezione nel 2006 presso la Facoltà di Arti e Design dello IUAV di Venezia, mettendo in crisi il concetto stesso. Per Agamben, appartiene veramente al suo tempo, è veramente contemporaneo colui che non coincide perfettamente con esso né si adegua alle sue pretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio per questo, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è capace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo.

Non un nostalgico, bensì colui che ha una singolare relazione col proprio tempo in quanto aderisce a esso e, insieme, ne prende le distanze. Essere contemporanei per Agamben significa vedere ciò che manca, ciò che non funziona, l’ombra del tempo.


La sua riflessione, infatti, prosegue nell’affermare che tutti i tempi sono caratterizzati da oscurità e il contemporaneo è colui che sa vedere questa condizione di buio; non percepisce le luci, piuttosto le neutralizza per scoprire le tenebre del tempo e percependo, insieme, una luce che cerca di raggiungerci e non può farlo. Agamben prende ad esempio l’universo e la spiegazione che l’astrofisica contemporanea dà del suo buio per dire come quel che percepiamo come il buio del cielo è in realtà dato dalla luce delle galassie che viaggia velocissima e non riesce a raggiungerci.


Il contemporaneo fa tutto questo perché è qualcosa che lo riguarda, che si rivolge direttamente e singolarmente a lui, per rispondere ad un’esigenza a cui non si può non rispondere. E rispondere a quell’esigenza e a quell’ombra è una questione di coraggio. Pertanto, Agamben afferma che i contemporanei sono rari.

Pochi sono capaci di tenere lo sguardo fisso nel buio dell’epoca ma anche di percepire in quel buio una luce che, diretta verso di noi, si allontana infinitamente da noi. Per citare il filosofo, “è come essere puntuali a un appuntamento che si può solo mancare”. L’appuntamento in questione è qualcosa che per Agamben urge dentro di noi e questa urgenza è l’intempestività. Il contemporaneo è paradossalmente fuori tempo


Volendo abbracciare la tesi del filosofo, si potrebbe ora riflettere su “chi sono i contemporanei dell’ora?” Chi o cosa è così coraggioso da ricevere in pieno viso il fascio di tenebra che proviene dal proprio tempo? C’è un libro che pur non essendo stato scritto oggi, può essere considerato come il testo contemporaneo per eccellenza: la Bibbia.

Essa permette di percepire il buio del presente ma riesce altresì a presentare una luce che in realtà ci ha già raggiunti. La Bibbia parla del già e del non ancora; nell’oscurità data dal peccato una speranza è stata già inaugurata con la prima venuta di Gesù Cristo, in attesa del suo ritorno non ancora avvenuto che la porterà a compimento.


Viviamo tra il già e il non ancora della luce che è venuta e che verrà. Ma, in questo chiaroscuro, tra il già e il non ancora per l’appunto, c’è il tempo della contemporaneità, un tempo in cui è possibile “presentarsi all’appuntamento”. La contemporaneità di chi crede risiede proprio in questo incontro che lo ha reso capace di guardare in faccia il buio dato dal peccato e, insieme, essere toccato dalla luce data dall’Evangelo. 


Essa è una visione della realtà che, se espressa attraverso un’opera d’arte, renderà quest’ultima contemporanea, paradossalmente fuori tempo, poiché non porta solo indietro verso la condizione decaduta della vita, non è nemmeno solo proiettata verso il futuro, ma sta in mezzo, tra il già e il non ancora del tempo di Dio.