L’irrisolta tensione religiosa di Alessandro Manzoni (1785-1873)

 
 

Un uomo anziano, appena uscito dalla messa celebrata nella chiesa di San Fedele a Milano, scivola sulle scale e cade a terra sbattendo la testa. Dopo la brutta caduta, risultata in un trauma cranico, le sue condizioni peggiorano rapidamente: il 22 maggio 1873, all’età di 88 anni muore Alessandro Manzoni. A distanza di centocinquant’anni dalla scomparsa, l’Italia, e soprattutto Milano, ha colto l’occasione per ricordare lo scrittore e le sue rinomate opere, tra cui I promessi sposi, caposaldo della letteratura italiana studiato ogni anno da migliaia di studenti delle scuole superiori.

Tanto si è detto sulla vita del Manzoni e sui personaggi intriganti e complessi del suo romanzo, così come sulle sue poesie e sugli scritti di carattere più storico-filosofico. Per molti il fil rouge che attraversa la maggior parte della sua opera letteraria è da rinvenire nel suo trascorso religioso.

Nato in una Milano fortemente segnata dall’illuminismo, rappresentato da personaggi come Cesare Beccaria e i fratelli Verri, Manzoni crebbe nella culla del razionalismo e del materialismo provenienti dalla Francia volterriana. All’età di ventiquattro anni, dopo un periodo di formazione intellettuale trascorso a Parigi, sposò Enrichetta Blondel, figlia di una famiglia calvinista.

L’irreligioso Manzoni era in effetti indifferente alla fede della moglie, anche se nel frattempo stava sempre di più facendosi spazio nel suo animo un’irrequietezza spirituale che sarebbe culminata nella conversione alla corrente giansenista in seno al cattolicesimo. Il giansenismo fu un movimento religioso nato in seno al cattolicesimo nel XVII secolo da Cornelis Jansen, un ecclesiastico e teologo olandese. Jansen, riprendendo il messaggio della Bibbia sulla natura umana tramite le lenti interpretative di Agostino, affermò che l’uomo nasceva totalmente corrotto e che era destinato inevitabilmente a commettere il male. Solo la grazia divina avrebbe permesso all’uomo di essere salvato e di scegliere il bene. Data l’evidente somiglianza con la dottrina riformata, non stupisce che la chiesa cattolica, sostenitrice del libero arbitrio e contraria alla predestinazione, abbia condannato ripetutamente il giansenismo ritenendolo un’eresia. Nonostante ciò, all’epoca del Manzoni, la dottrina continuava a circolare producendo proseliti, tra i quali Eustachio Degola e Luigi Tosi, entrambi presbiteri cattolici e “padri spirituali” dello scrittore.

Il Nostro si riteneva ormai formalmente un cattolico, anche se velatamente la sua teologia aveva un afflato giansenista, evidente in particolare nei temi della provvidenza divina e del male presenti in molte vicende de I promessi sposi. Inoltre, sembra che ciò che l’avesse attirato al cattolicesimo non fosse l’istituzione della chiesa stessa, ma le norme morali da essa prescritte, come se necessitasse di seguire leggi religiose ben stabilite che annichilissero il male di cui si riteneva portatore e attuatore (una delle sue opere si intitola appunto Osservazioni sulla morale cattolica, scritta in risposta alle critiche mosse dal calvinista Sismondo Sismondi, il quale riteneva che la corruzione dei costumi e della vita politica italiana fosse il risultato della cultura romano-cattolica).

Ciò nonostante, lo spirito liberale che continuava a ribollire nell’animo dello scrittore lo portò a sostenere che la chiesa cattolica avesse bisogno di una riforma che superasse la fase oscurantista e passatista della Controriforma. Quando nel 1832 Gregorio XVI condannò le tesi liberali, il Manzoni, come aveva fatto in un certo senso anche Erasmo da Rotterdam secoli prima, invece di continuare la sua battaglia ideologica e di aggregarsi a una realtà differente che si confacesse al suo spirito giansenista e “riformatore”, assunse una posizione più defilata e meno militante. Tra l’avanzante modernismo della società e il tradizional-conservatorismo della chiesa cattolica, Manzoni non seppe su che fronte stare e finì i suoi giorni senza essere in grado di risolvere questa importante e determinante tensione.

A distanza di 150 anni è evidente che la realtà sia cambiata: da una posizione rigidamente vessatoria e condannante, siamo passati (in parte) a un cattolicesimo teologicamente accomodante e fluidamente inclusivo. Come avrebbe reagito Manzoni? Non lo sappiamo, ma possiamo porci un’altra domanda: da evangelici, qual è la nostra posizione di fronte al post (post) modernismo? Ci ritraiamo come Manzoni, diventiamo accomodanti come il cattolicesimo o riusciamo, per grazia di Dio, ad essere fermi e stabili nella nostra identità cristiana e al contempo confrontarci e dialogare con la cultura?

(Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Che vi do!, XXXII, n. 105 (Dicembre 2023), periodico quadrimestrale di Pane Quotidiano Onlus)