Lo spirituale nell’arte. Tracce di attesa in Kandinsky

 
 

“Quando vengono scosse religione, scienza e morale, quando i sostegni eterni stanno per crollare, l’uomo distoglie lo sguardo dall’esteriorità e lo rivolge a sé stesso”. Siamo nel XX secolo e numerosi artisti hanno iniziato a ripensare alla propria produzione in ottica spirituale, attraverso una ricerca di risposte e in termini di interrogazione, silenzio, apertura. La citazione sopra riportata appartiene ad uno degli scritti più singolari di questo secolo: un’opera che Wassily Kandinsky intitola Lo spirituale nell’arte. Terminato nell’agosto del 1910 a Murnau in Baviera, il libro è un vero e proprio manifesto laico sulla spiritualità, di cui l’arte è una componente fondamentale.

Il libro si apre con una dichiarazione di indipendenza dal passato; infatti, all’imitazione dei modelli, sostenuta dal classicismo, Kandinsky contrappone un’arte moderna che esprima la propria vita interiore. Egli è figlio del suo tempo, protagonista dell’avanguardia, crede nella crescita spirituale dell’umanità e, in questo senso, desidera una rottura con la tradizione. Sente che l’epoca dello spirito è alle porte e che l’arte deve rispondere attraverso il suo compito profetico ad annunciare la nuova era. Si intravede in queste pagine un dinamismo volto a cambiare le regole; dopo un lungo periodo di materialismo, si percepisce la voglia di seguire le vie dell’interiorità e dello spirito, alla ricerca di nuove forme di espressione.

Questo progresso per Kandinsky si attua in due direzioni: sul piano orizzontale e su quello verticale e questo incessante movimento in avanti e verso l’alto è rappresentato da un triangolo, acuto, suddiviso in sezioni: in alto troviamo la città spirituale in trasformazione, al vertice vi è il dominio della certezza. La svolta spirituale è data dal fatto che gli artisti di questo tempo pongono sulla bilancia spirituale il valore interiore degli elementi. Nel suo pensiero, colore e forme assumono una valenza spirituale nel momento in cui toccano l’anima nel profondo mediante l’infinita gamma di sensazioni che producono. Questo è il fondamento su cui si basa tutta la sua opera e che Kandinsky definisce come il principio della necessità interiore, un principio che l’artista riuscirà ad affermare soltanto rivolgendosi alla propria vita interiore. Nel pensiero kandinskiano, il compito dell’artista è quello di toccare questo o quel tasto per mettere in vibrazione l’anima umana.

Kandinsky parla di talento evangelico, che porta una benedizione favorendo questo movimento ascendente e progressivo e parla di un’arte al servizio del divino la cui necessità nasce da tre esigenze di fondo: ogni artista, in quanto creatore, deve esprimere sé stesso; ogni artista, in quanto figlio della sua epoca, deve esprimere la sua epoca; ogni artista, in quanto al servizio dell’arte, deve esprimere l’arte e, per farlo, deve fissare gli occhi sulla sua vita interiore. In questo senso è necessario che l’artista educhi la sua anima oltre che il suo sguardo in modo che essa diventi una forza determinante nella creazione delle opere. Egli, infatti, afferma che anche lo spirito, come il corpo, diventa debole e impotente se trascurato e che dunque si rafforza e si sviluppa con l’esercizio; l’artista deve educarsi e raccogliersi nella sua anima, curandola e arricchendola in modo che essa diventi il manto del suo talento esteriore, e non sia come il guanto perduto di una mano sconosciuta, una vuota e inutile apparenza.

Kandinsky ha parlato dunque dell’arte come rappresentazione di cose invisibili e ci ha offerto un raro esempio di come un artista verbalizzi, in termini artistici, la sua personalissima ricerca spirituale. Tuttavia, anche quest’ultima è soggetta alle conseguenze derivanti dal peccato e non può diventare un assoluto. Il suo principio della necessità interiore non potrà mai essere pienamente soddisfatto poiché si tratta di un richiamo auto-referenziale se non riconosce la realtà di Dio e non riconosce altresì il suo carattere caduco e decaduto.

Il pensiero kandinskiano sembra avere un’assonanza con il pensiero di un noto teologo olandese, Abraham Kuyper: nelle sue celebri Lezioni sul calvinismo, Kuyper ha parlato dell’arte come espressione della vita interiore avente il potere di toccare il cuore delle persone e, in tal senso, dev’essere lasciata libera di muoversi, senza intrusioni o monopolizzazioni.  Nella sua celebre lezione sull’arte, Kuyper ribadisce che Dio rimane sovrano anche nella sua partizione dei doni, che elargisce al credente e al non credente secondo il suo volere e per il bene della società, sostenendo così la dottrina della grazia comune, la quale non si applica solo all’arte ma a tutte le espressioni naturali della vita umana.

Se per Kandinsky l’arte è una forza che deve servire allo sviluppo dell’anima, per Kuyper l’arte non trova la sua referenza ultima nell’uomo, ma deve aprirsu al mondo di Dio. Se per Kandinsky l’uomo è un divino servitore dell’umanità, per Kuyper l’uomo è semplicemente portatore dell’immagine di Dio.

Se per Kandinsky l’artista è il sacerdote della bellezza interiore, per Kuyper il compito dell’arte è quello di ricordare la bellezza perduta e di anticipare il suo splendente futuro. Una vocazione molto nobile che il calvinismo, intesa come visione del mondo, riconosce all’arte. Per il cristianesimo, il sacerdote della bellezza non è un artista qualunque, ma Gesù Cristo, l’Artista.

Nel suo saggio Kandinsky parla dell’arrivo di un uomo - un artista - che ci assomiglia, ma ha in sé una misteriosa forza visionaria; egli vede e fa vedere e ha una pesante croce da portare, fra scherno e odio trascina in alto il pesante carro dell’umanità. Nella Sua Parola, Dio ci parla di un uomo che è già venuto, che ci ha assomigliato e che ha preso su di sé il peccato dell’umanità tutta; il suo nome è Cristo Gesù. In Kandinsky ci sono tracce di attesa. Nella visione cristiana questa attesa è già compiuta nella prima venuta di Cristo e non ancora pienamente realizzata, aspettando la Sua seconda venuta.