Occhio al 2033, “punto omega” del movimento ecumenico
Tutti (o quasi) insieme, ecumenicamente. Com’era prevedibile, il 1700 anniversario del Concilio di Nicea ha avuto come momento clou la preghiera ecumenica del 28 novembre presieduta da papa Leone XIV presso le rovine della chiesa di San Neofito a Nicea, dove si presume si siano tenuti gli incontri del Concilio nel 325.
La cerimonia è stata sobria, ma il linguaggio impiegato è stato solenne. Soprattutto il significato simbolico dell’evento è stato caricato di valenze “storiche”, non solo per il riferimento alla ricorrenza importante, ma soprattutto in vista di ulteriori passi nel cammino ecumenico.
Il punto che è stato raggiunto in quella celebrazione era stato a lungo preparato: si trattava di utilizzare il centenario di Nicea per valorizzare la “fede comune” espressa nel Credo niceno e di consolidare l’idea che tutti i cristiani sono uniti nel recitare insieme le parole di quell’antico testo. Nell’ottica ecumenica, le differenze sono semmai interpretazioni successive di aspetti secondari che non minano la base comune. È evidente il rischio è di strumentalizzare Nicea e di prenderla come pretesto per scopi diversi da un approfondimento dei suoi contenuti.
Naturalmente il papa romano era scenograficamente al centro della scena, punto di raccordo tra tutti, con a fianco il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo e gli altri dignitari ecclesiastici accomodati dietro con ruoli minori. Unico assente di peso era il Patriarca ortodosso di Mosca Kirill, in rotta col mondo ecumenico “buono” per il sostegno alla guerra russa contro l’Ucraina. In ogni caso, si è trattato di una rappresentazione scenica dell’ecumenismo contemporaneo: tutti uniti intorno al successore di Pietro vestito di bianco, il papa romano.
Detto questo, quello che è avvenuto a Nicea se, da un lato, è un punto di arrivo, dall’altro, è solo una tappa della parabola ecumenica. La direzione l’ha indicata lo stesso papa Leone durante il volo verso il Libano, seconda tappa del suo primo viaggio internazionale.
Parlando coi giornalisti, papa Prevost ha detto a proposito dell’incontro avuto a Nicea con i leader ecumenici:
“Ieri mattina abbiamo parlato di futuri incontri possibili. Uno sarebbe nell’anno 2033, duemila anni della Redenzione, della Resurrezione di Gesù Cristo, che evidentemente è un evento che tutti i cristiani vogliamo celebrare. È stata accolta l’idea, l’invito ancora non lo abbiamo fatto ma la possibilità è di celebrare per esempio in Gerusalemme nel 2033 questo grande evento della Resurrezione. Ci sono anni per prepararlo ancora”.
Il 2033, appunto. Questa è la prossima, strategica tappa del cammino immaginato e programmato dal movimento ecumenico. Nicea 2025 è stata la prova generale di Gerusalemme 2033. La grande forza evocativa della celebrazione dei 2000 anni dalla resurrezione di Cristo e della Pentecoste verrà messa al servizio di quello che potrebbe essere il colpo definitivo del movimento ecumenico: arrivare all’unità intorno al riconoscimento del ruolo globale e trasversale (anche se differenziato) del papa romano per tutte le confessioni sulla base di una teologia che consideri definitivamente superate le “asperità” della Riforma protestante.
Per chi parteciperà alle iniziative previste nel 2033 non sarà più “sola Scrittura”, ma Scrittura generosamente intesa da includere la tradizione, anche quella contraria al messaggio biblico. Non più “sola fede”, ma fede elasticamente intesa da includere le opere umane ed ecclesiastiche. Non più “solo Cristo”, ma un Cristo inclusivo delle mediazioni di Maria e dei santi. Il tutto sarà ricompreso dentro questa versione di cristianesimo ecumenicamente pacificato, ma biblicamente deviato.
Più che il 2025, il 2033 sarà un banco di prova per tutti e la domanda di fondo sarà: la fede evangelica può essere ripensata dentro l’abbraccio ecumenico intenzionalmente e caparbiamente preparato dal cattolicesimo romano?