Onlife e il problema irrisolto della violenza

 
 

Onlife può essere una parola nuova per alcuni, ma è una pratica diffusissima. È risaputo, i ragazzi d’oggi sono sempre (più) connessi, hanno tutte le informazioni necessarie nel palmo di una mano e relazioni onlife talmente nuove rispetto al passato che è stato coniato un nuovo termine per definirle. Potremmo pensare perciò che le problematiche relazionali si siano risolte o come minimo ridotte. Ma è davvero così? Vediamo cambiamenti sostanziali nei giovani che conosciamo?  Relazioni nuove in cui la violenza e le ingiustizie sono solo un vago ricordo?

Con il termine onlife il filosofo Luciano Floridi ha indicato questa nuova dimensione relazionale, sociale e comunicativa che nasce da una continua interazione tra realtà online e offline, generando un intreccio nuovo che ha cambiato completamente la frequenza e la forma delle relazioni umane e le interazioni con il mondo.

Indagini statistiche, come lo studio di Save the children dal titolo “Le ragazze stanno bene? Indagine sulla violenza di genere onlife in adolescenza”, mostrano come per le nuove generazioni (14-18 anni) le relazioni virtuali-online sono parte integrante, intrinseca e fondante della loro vita offline. Soprattutto per i giovanissimi è impossibile separare online e offline. Lo spazio digitale ha reso la socializzazione veloce e pervasiva. Per questo è necessario comprendere ed educare questo intreccio confuso.

Ci sono almeno due aspetti di queste nuove dinamiche relazionali che colpiscono. L’indagine rileva che le forme di violenza, soprattutto nei confronti delle ragazze, sono amplificate e non diminuite e sono del tutto simili a quelle che avvengono tra adulti (dal cyberstalking al sextortion, il paradigma è il dominio e il controllo).

Inoltre, lo studio riporta il fatto che i giovani quando cercano qualcuno con cui interagire su tematiche di genere o perché sono state vittime o testimoni di violenza non si rivolgano in primis a “persone virtuali” ma cerchino, con elevate e preponderanti percentuali, i propri genitori e le persone più vicine che compongono il loro primario gruppo sociale. 

Di fronte a questo modo di vivere ibrido “onlife”, gli educatori intervistati sottolineano un gap importante tra la consapevolezza dei giovani riguardo a cosa sia una relazione violenta e come si mostri la violenza di genere, e il loro proprio agire quotidiano portatore di violenza in moltissimi modi, secondo dinamiche di potere e controllo. Si è capaci di additare il “singolo” violento, ma non si riconosce la violenza sistemica né tanto meno la propria violenza.

Il passaggio da una generazione ad un'altra con il suo mutamento nelle dinamiche relazionali, perciò, non implica evoluzione o miglioramento nella sostanza delle relazioni. La violenza insita nel cuore dell’uomo tenderà a mostrarsi di generazione in generazione in modalità sempre nuove tanto quanto le innovazioni tecnologiche e culturali. Non basta cambiare le modalità di relazione per eliminare la violenza né tantomeno sarà possibile eradicarla. Questo dato di fatto che l’Ecclesiaste riassumerebbe con la frase “non c'è nulla di nuovo sotto il sole” (1:9)  è però per la chiesa anche un grande monito e un’enorme opportunità per annunciare l’evangelo: laddove la violenza dilaga indirizziamo i giovani a Cristo; mostriamo loro la sola Persona che ha conosciuto relazioni estremamente violente nei suoi confronti, ma senza mai essere contraccambiare in violenza, puntiamo a Dio che nonostante sia stato rigettato dall’umanità ha donato ciò che aveva di più prezioso per riconquistarla a sé, parliamo dello Spirito che comunica al nostro spirito con fermezza, dolcezza e amore.

L’indagine si conclude con raccomandazioni rivolte agli organi legislativi e di governo in particolare incoraggiando interventi educativi nelle scuole, campagne di sensibilizzazione sociale e di coinvolgimento decisionale, e iniziative sanitarie di cura e tutela dei minori. Strumenti che se correttamente utilizzati possono costituire un argine alle forme di violenza ma che restano comunque strumenti limitati. 

Su tutti questi fronti la chiesa evangelica è chiamata a fare la propria parte, sia nel discepolato delle famiglie e dei giovani credenti, sia attivando iniziative ministeriali adeguate ai contesti. La vita donata da Dio si può vivere pienamente on e off line cercando, coltivando e moltiplicando relazioni profonde ma non violente. Inoltre, senza illudersi di vivere in un mondo senza peccato, la cultura evangelica deve educare alla denuncia profetica del male, alla resilienza sacerdotale di fronte alle asprezze della vita e alla responsabilità regale di vite guarite e portatrici di guarigione agli altri.