Peccato e senso di colpa? Dal Commissario Montalbano ad Andrea Camilleri

 
 

Guardo molto poco la TV ma, lo confesso, quando posso non riesco a fare a meno di guardare il Commissario Montalbano di Andrea Camilleri. Non mi attirano i gialli, sono più affascinato dai dialoghi in dialetto siciliano, da quel linguaggio ed espressioni mimiche che rivelano un mondo culturale particolare, fatto di personaggi stravaganti e spontanei che dicono e non dicono. Personaggi che hanno ben chiaro le gerarchie sociali e come vanno le cose in quel contesto.

 

Per il centenario della nascita di Camilleri (6 settembre 1925), in tutta Italia, ma anche all'estero, si sono moltiplicate le iniziative per celebrare questa ricorrenza con eventi culturali, mostre e pubblicazioni di libri. Rai Uno ha scelto di replicare le due serie del Commissario Montalbano.  

L'ultimo episodio (Come voleva la prassi) mi ha fatto riflettere per la "piccola" storia collaterale alla trama principale. Si tratta di un anziano giudice che, in pensione, aveva scelto di tornare nel suo paese natio in Sicilia. Con sè aveva portato la copia decine di grossi faldoni dei processi che lo avevano visto protagonista nelle sentenze finali.

 

Perchè lo aveva fatto? Era consumato dall'atroce dubbio di non aver esaminato i fatti e le prove con piena obbiettività. Dopo un esame minuzioso di un particolare processo, finito con una sentenza a 30 anni di un imputato che si era sempre dichiatato innocente, confessa a Montalbano che quella sentenza fu molto condizionata da un periodo di crisi umana e familiare che stava vivendo. Preso da un profondo rimorso, non trovando pace, prima di dar fuoco alla sua casa e mettere fine alla sua vita, lascia un messaggio a Montalbano che spiega il suo gesto.   

 

Questo personaggio uscito dalla penna di Camilleri, al netto della sua tragicità, non è così lontano dall'esperienza di tante persone. I sensi di colpa non possono essere spenti o eliminati con la semplice volontà. D'altra parte, per quanto confuse, le emozioni non vanno ignorate perché ogni azione che viola la legge, intenzionalmente o meno, è sbagliata. I sensi di colpa sono una funzione della coscienza; se affrontati correttamente sono degli amici. Ci mettono in guardia per esaminare i modi in cui potremmo venir meno davanti a Dio e alla società.

 

Qui viene fuori la teologia di Camilleri. I sensi di colpa, come nel nostro personaggio, se vengono affrontati in modo sbagliato diventano atroci nemici da portare fino alla morte.

 

In un’intervista pubblicata su Testimoni (2000), Camilleri aveva parlato del suo rapporto difficile con la fede: "…non sono praticante, ma sono stato in collegio dai preti... Ma anche allora da ragazzino, per tutto quello che era la ritualità dell’andare a Messa, lo facevo ma non c’era nessun entusiasmo e nessuna convinzione". 

 

Quindi Dio non sta nella sua vita? "No, Dio non sta nella mia vita. Ci stanno molte cose nella mia vita, ci sta l’idea di spirito sicuramente, non ci sta materialismo banale o altro. Ci sta perché non possiamo dirci cristiani di Benedetto Croce. Ma la fede, quella non ce l’ho".

 

Le dispiace? "In un certo senso sì.... Chi ha fede ha una ragione, quindi meno paura degli altri. Ma non l’avevo neanche quand’ero giovane e già maturo. Ho un gran rispetto per la fede e per quelli che hanno fede. Ho quasi ammirazione per le persone che hanno fede".

 

Neanche della morte? “La morte? Ci rispettiamo. Non ho paura di niente. Accogliere la morte come un atto dovuto è saggezza".

 

Non cè da stupirci che Camilleri abbia lasciato il suo personaggio solo con i suoi sensi di colpa. Escluso Dio, non resta che crogiolarsi nella colpa e vivere in un rimorso infinito e paralizzante. Non solo, anche le persone che credono di dover o poter perdonare se stesse tendono a essere infelici, perché cercano di appropriarsi di qualcosa che non possono darsi.

 

Per almeno due motivi.

La parabola del figlio prodigo distingue due aspetti del perdono perché affronta due aspetti del peccato. "Ho peccato contro il cielo e contro a te" (Lu 15,21). Poiché ogni peccato è un offesa a Dio e al prossimo, riguarda Dio e il prossimo, sono due realtà inscindibili. Solo il perdono di Dio può suscitare anche il secondo.

 

Nel Vangelo di Marco (2,1-12) quando Gesù perdona i peccati del paralitico, gli scribi presenti rimasero immediatamente sbalorditi perché per loro Gesù aveva bestemmiato. Perché? Perché sapevano che solo Dio può perdonare i peccati. Nella loro cecità gli scribi avevano perfettamente ragione. Sì, solo Dio può perdonare i peccati, l'autoassoluzione non funziona perché non possiamo essere allo stesso tempo trasgressori e assolutori di noi stessi. 

 

Quindi, la colpa e il peccato sono problemi che solo Dio può risolvere in modo definitivo. Il perdono è la decisione, la promessa e la dichiarazione di Dio di non rinfacciarci i nostri peccati e, quindi, di liberarci sia dal giudizio delle nostre coscienze che dall'inutile tentativo di autoredenzione. Questo solo grazie a ciò che Gesù Cristo ha compiuto per noi sulla croce. Ciò permette a Dio di perdonare tutti coloro che si pentono e credono in suo Figlio Gesù. 

 

Concludo con le parole di Charles Spurgeon che uniscono la gravità del peccato e la gioia che si prova per il perdono di Dio: “Troppe persone pensano al peccato in modo leggero, quindi, allo stesso modo pensano al Salvatore. Colui che è stato davanti al suo Dio, convinto e condannato..., è l'uomo che piange di gioia quando è perdonato, che odia il male che gli è stato perdonato e che vive per l'onore del Redentore dal cui sangue è stato purificato”.[1]


[1] Charles Haddon Spurgeon, The autobiography of Charles H. Spurgeon, compiled from his diary, letters, and the records of his wife and private secretary, vol. 1, 1834– 1854, New York, Fleming H. Revell 1898, p. 76.