Pluralismo educativo ma senza compromessi

 
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È ormai da diversi anni che anche in Italia si sente parlare del bisogno di pluralismo educativo. Il nostro Paese, infatti, sembra essere piuttosto indietro su questo fronte rispetto ai compagni d’Europa. Si susseguono conferenze, convegni, dibattiti televisivi, audizioni parlamentari, azioni varie di pressione politica e per ultimi, in era COVID, i web-pressing. Ma dire “pluralismo educativo” vuol dire sempre la stessa cosa? Il Comitato Insegnanti Evangelici in Italia si è fatto promotore di pluralismo educativo fin dalla sua fondazione interpretando, però, una visione alternativa rispetto a quelle maggioritarie, co-belligerando su questioni opportune con i soggetti in gioco, ma anche non mancando di sottolineare le numerose problematicità, tipiche del sistema italiano.

Per il fronte cattolico promuovere il pluralismo educativo significa garantire alle scuole paritarie i fondi necessari alla loro gestione, affinché le famiglie possano esercitare il proprio diritto all’educazione e scegliere liberamente dove far studiare i propri figli, o in una scuola statale o in una paritaria, di cui talvolta abbracciano la missione. Entrambe, statale e paritaria, sono infatti scuole pubbliche del Sistema Nazionale d’Istruzione, come a suo tempo stabilito dalla Legge n.62 del 10 Marzo 2000. Negli ultimi 20 anni, la percentuale complessiva degli iscritti alle paritarie (di cui il 63% cattoliche) è scesa dal 13,6% al 9,9%. L’improvvisa pandemia ha influito ulteriormente. “La presenza delle scuole paritarie, e dunque del pluralismo educativo, è gravemente compromessa” è ciò che emerge da un dossier dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Si propone quindi una visione sussidiaria del rapporto tra Stato ed enti privati o associativi, secondo la tradizione sociale cattolica. Le scuole private infatti possono dare un grandissimo contributo al sistema statale anzi devono correre in suo soccorso, soprattutto ora che la sua crisi è emersa palesemente durante questa pandemia. La scuola statale non ce la può fare senza l’aiuto di quella privata e perciò si deve investire su di essa in egual misura. A sostegno di tale posizione si chiama in causa proprio l’art. 33 della Costituzione.

Sul fronte opposto, ma partendo dallo stesso articolo costituzionale, lo schieramento laico: dalla composizione variegata (credenti di altre confessioni, atei, agnostici e razionalisti), vede la scuola statale come sufficiente a garantire un pluralismo educativo necessario e indiscutibile. La scuola statale anzi è il luogo ideale per educare al pluralismo con il suo coacervo di insegnanti, studenti e visioni del mondo che ogni giorno si incontrano, convivono e dialogano tra loro in un contesto educativo caratterizzato da neutralità. Inoltre, essa svolge un ruolo indispensabile nella formazione dei cittadini e perciò la presenza delle scuole private di fatto è tollerata ma trascurabile, soprattutto se queste hanno un carattere confessionale. Si propende per una posizione statalista e accentratrice, nella quale lo Stato è responsabile anche di stabilire i colori, i confini e contorni dell’educazione dei propri cittadini. C'è poi la questione che riguarda i Patti Lateranensi tra Stato Italiano e Chiesa Cattolica Romana che hanno assegnato uno spazio di privilegio all’Insegnamento della Religione Cattolica (IRC) nella scuola statale, con insegnanti riconosciuti dalle autorità ecclesiastiche ma pagati dallo stato. Per tutti questi motivi distogliere fondi dalla scuola statale per dirottarli sulle private è da questo fronte ritenuto non solo un grosso errore ma anche un’ingiustizia che viola quanto stabilito dalla Costituzione nello stesso articolo 33.

Entrambe le voci colgono parti essenziali della questione che non possono però essere separate. La Costituzione giustamente riconosce alla famiglia il compito di educare i propri figli e di farlo in coerenza con il proprio credo e le proprie convinzioni più profonde. Per questo motivo, mentre garantisce a tutti la possibilità di ricevere un’istruzione, lascia anche la libertà di fondare scuole private che abbiano orientamenti vari e che consentano di garantire una continuità educativa tra la famiglia e la scuola, elemento non trascurabile per uno sviluppo psico-emotivo armonico dei bambini.

Garantire un contesto di libera iniziativa è un bene; favorisce la fioritura, lo sviluppo e la diffusione d’innovazione, sperimentazione e di arricchimento nel campo educativo a beneficio anche della scuola statale che ha sempre interlocutori plurimi e stimolanti. L’Italia ha bisogno di pluralismo educativo e lo Stato dovrebbe fare di tutto per riconoscere questo diritto e incoraggiarlo, evitando di accentrare su di sé tale compito sociale. La nostra storia pedagogica è piena di esperienze educative private nate dalla passione e dall’intraprendenza di uomini e donne che hanno poi arricchito e migliorato la scuola statale italiana. Come documentato da Andrea Mannucci, Educazione e scuola protestante, Firenze, Luciano Manzuoli Editore 1989, l’apporto degli evangelici in questo senso è stato significativo durante il Risorgimento e fino all’avvento del Fascismo e le nostre famiglie dovrebbero riconsiderare il grande valore che la visione biblica del mondo ha per l’istruzione dei nostri figli e investire, il proprio tempo, i propri talenti e le proprie risorse in questa direzione. Sostenere la necessità del pluralismo educativo per il nostro Paese non vuol dire però avere pretese, soprattutto quando lo Stato italiano già vive una situazione piuttosto anomala che non può essere trascurata e sottaciuta.

Fino a quando gli spazi e i tempi della scuola statale saranno occupati impropriamente da una confessione religiosa il nostro Paese non avrà mai un pluralismo educativo vero e proprio, ma solo presunto. Non basta finanziare le scuole private per vedere la nostra nazione arricchirsi educativamente. Dobbiamo anche ammettere che l’IRC nelle scuole statali è improprio e frutto di un compromesso ben lontano dall’idea di pluralismo, che è improprio che lo Stato paghi per insegnanti su cui non ha autorità vera e propria perché scelti da un’autorità ecclesiastica; bisogna denunciare l’utilizzo di questi insegnanti per attività diverse da quelle per le quali sono stati assunti e contrastare il tentativo continuo di utilizzare progetti trasversali per integrare anche i ragazzi le cui famiglie hanno scelto di non avvalersi di questo insegnamento.

Come evangelici ci faremo promotori di un pluralismo diverso, invitando altri a collaborare con noi? Dobbiamo difendere la laicità della scuola statale e lavorare affinché il nostro Paese abbia una vera e propria legge sulla libertà religiosa per tutti e una revisione dell’articolo 7 della Costituzione. Dobbiamo incoraggiare le famiglie ad assumere la responsabilità dell’educazione dei propri figli senza più deleghe; dobbiamo incentivare i professionisti dell’educazione a formarsi per essere promotori di una visione cristiana della conoscenza, dell’apprendimento, del mondo e della vita, preparando il terreno per costituire libere scuole evangeliche in grado di contribuire in modo concreto al dibattito pedagogico contemporaneo. Scuole fondate sui valori dell’Evangelo, che sappiano dare un contributo diverso e significativo alla fioritura culturale dell’Italia, senza compromessi né privilegi di sorta.