Salario minimo, perché in Italia è difficile riconoscere la dignità del lavoro?

 
 

Negli ultimi mesi il dibattito sul salario minimo si è riacceso in Italia. Le forze di opposizione hanno avanzato una proposta di legge per l’introduzione di questa misura nella legislazione italiana, ma quelle di maggioranza hanno di recente fatto approvare dal Parlamento un emendamento che la blocca. Il risultato è che, per il momento, il salario minimo non si farà.

Di cosa si parla? Il salario minimo è una soglia di remunerazione del lavoro stabilita per legge sotto la quale non si può andare. Se un datore di lavoro assume una persona (qualunque sia la mansione ed il livello) deva garantire almeno una remunerazione oraria indicata dalla legge. Il motivo sotteso al salario minimo è la salvaguardia della dignità del lavoro e del lavoratore. Per i sostenitori della misura, la dignità di chi lavora viene violata quando al lavoro non viene riconosciuto un compenso adeguato. Se non è il mercato del lavoro a riconoscerla da sé, è lo Stato, attraverso lo strumento legislativo, che introduce un parametro minimo a cui tutti devono conformarsi.

La situazione del mercato del lavoro, tra sacche di lavoro nero e la piaga dello sfruttamento dei lavoratori, è tale che, lasciata a sé stessa, produce non solo ingiustizie sociali, ma veri e propri attacchi alla dignità delle persone. Non occorre essere esperti del settore per sapere dell’esistenza di lavoratori che vengono sottopagati, sfruttati se non proprio schiavizzati. Il salario minimo è garantito per legge in quasi tutti i Paesi europei ed è considerato una misura di civiltà. Non si tratta di imporre un salario uguale per tutti (questo sarebbe una forma totalitaria di politica economica), né di attribuire allo Stato un ruolo preponderante nelle dinamiche del mercato del lavoro (questo sarebbe ingigantire le prerogative dello Stato a una sfera come quella del lavoro in cui esso ha competenze solo regolative), ma di riconoscere un livello minimo di compenso del lavoro a tutela della dignità delle persone.

Se uno vuole dare una prestazione gratuita, bene: questo è volontariato e una società in salute valorizza il volontariato in tutte le sue forme. Se uno però lavora all’interno di un contratto tra le parti che prevede una remunerazione del lavoratore, questa non può scendere sotto una soglia minima, altrimenti si configura come sfruttamento lesivo della dignità delle persone e delle loro attività.

I conoscitori della Bibbia sanno che Gesù ha affermato che “L’operaio è degno del suo salario” (Luca 10,7). Sembra che la paga che uno riceve sia specchio della dignità che viene riconosciuta alla persona che lavora. Aprendo la visuale, nel fascicolo “Buon lavoro”, Studi di teologia – Suppl. 18 (2020) si legge che:

“Sulla scia del lavoro divino, anche quello umano si svolge dentro una cornice pattizia. La giustizia è collegata alla retribuzione equa del lavoro (Lc 10,7; 1 Tim 5,18), alle condizioni adeguate di lavoro (Dt 24,14-15; Col 4,1), alla dignità dei lavoratori (1 Ts 4,6), alla corresponsabilità dell’impresa (Ne 13,30). Inoltre, la giustizia nel lavoro è misurata nel rispetto di cicli di lavoro e di riposo (Es 20,9-10) che riflettono il ritmo del lavoro divino. Il buon lavoro eseguito viene riconosciuto ed apprezzato (Mt 25,21.23; Lc 16,8; 2 Tim 2,6)”.

Dunque, la dignità del lavoro e del lavoratore è un presidio della visione cristiana. Domanda: il salario minimo è una misura per difenderla e promuoverla? In un mondo ideale, non ci sarebbe bisogno di una legge: dovrebbe essere il mercato stesso (imprese, sindacati, sistema contrattuale) ad essere ispirato ad un’etica della responsabilità che la riconosce di suo. Viviamo però in un mondo in cui le propaggini sistemiche del peccato hanno introdotto effetti distorsivi anche nel mercato del lavoro e hanno prodotto la disonestà sistemica degli operatori (imprese e lavoratori). Il risultato è spesso la violazione della dignità delle persone e l’abuso del lavoro.

Il salario minimo è una misura che, per quanto limitata e da accompagnare ad una riforma dell’etica del lavoro nel suo complesso, costituisce un parametro a salvaguardia del “buon lavoro”. Peccato che in Italia sia finita nel tritacarne della polemica politica e non sia stata colta come occasione per corrispondere alla verità secondo cui “l’operaio è degno del suo salario”. La Costituzione italiana dice pomposamente che l’Italia è una repubblica “fondata sul lavoro”: ma se il lavoro non è tutelato nella sua minima dignità, non è solo vuota retorica?