Se l’orchestra copre le voci non è il canto evangelico. Contrappunto da ascoltare

 
 

Interessante contrappunto dall’ultima assemblea generale della Presbyterian Church in America (PCA), una denominazione evangelica che quest’anno ha celebrato i primi 50 anni di vita. Nel corso dell’assemblea tenuta a Richmond (Virginia) dal 10 al 14 giugno e a cui hanno partecipato 3000 delegati, sono stati ovviamente cantati inni e canti come parte dei culti celebrati e delle varie sessioni di lavoro.

Proprio sui canti si è soffermato un articolo di Terry Johnson su Reformation21 che ha messo in evidenza un rilievo critico su cui vale la pena soffermarsi. Apparentemente, è successo che l’orchestra musicale e il coro (solisti e corale) coprissero coi volumi il canto dell’assemblea al punto da soverchiarli. In pratica, la gente cantava dalla platea ma quelle voci non si sentivano in quanto i volumi del palco le inghiottivano. Ciò che si sentiva erano solamente le voci del coro e gli strumenti là davanti. Era un concerto e non un’assemblea cantante.

Problema di lana caprina? Non proprio. C’è un elemento identitario in gioco ed esso ha a che fare con la natura del canto evangelico. L’articolo ricorda che la Riforma protestante ha fatto rivivere è il canto congregazionale della chiesa antica. La chiesa medievale aveva strumenti musicali e cori. Le congregazioni rimanevano mute mentre i "professionisti" si esibivano. I Riformatori hanno giustamente ripristinato il canto dell’assemblea, che si tratti di inni (luterani) o salmi (riformati), come uno dei cinque elementi essenziali del culto ordinario della chiesa. Il canto e la musica, insieme alla lettura e alla predicazione delle Scritture, alla preghiera e all'amministrazione degli ordinamenti (battesimo e cena) sono stati riconosciuti come tratti essenziali del culto cristiano. Al canto non si assiste passivamente, ma si partecipa con passione.

Qual è il ruolo di musicisti, cantanti e cori nella chiesa? Semplicemente questo: sostenere il canto congregazionale, accompagnarlo, guidarlo. Dice Johnson: “sostenere, non sopraffare; sostenere, non usurpare; sostenere, non intrattenere; sostenere, non annegare; e soprattutto sostenere e non scoraggiare rendendo superfluo il canto della congregazione”. I musicisti, i vocalisti e i cori hanno un ruolo di guida del canto, non di sostituzione di esso.

Nelle chiese piccole e negli incontri a partecipazione numerica modesta, mantenere gli equilibri è più semplice. In presenza di migliaia di persone e di impianti di amplificazione potenti, è facile scadere nella modalità “concerto”. Il punto è che il canto evangelico non è un concerto, ma un’assemblea che canta in cui le voci sono protagoniste. Il soggetto primario è l’assemblea; gli altri soggetti (coristi, musicisti, tecnici) sono parte dell’assemblea e al servizio di essa.

La domanda di Johnson è: può una chiesa riformata come la PCA perdere il senso evangelico del canto e farsi trascinare nella modalità concerto? Qual è il prezzo di tale cedimento? E’ un quesito che dovrebbe far riflettere tutti. In occasione di culti o conferenze, come si prepara il canto? Giustamente ci si preoccupa di molti aspetti tecnici (microfoni, amplificatori, strumenti, proiettore, ecc.), ma si ha ben fissato l’obbiettivo di far cantare le persone e di rendere protagonista il canto dell’assemblea?

Anche questo ci ha ricordato la Riforma: il canto è per Dio da parte del popolo di Dio. E’ un contrappunto che va ascoltato e praticato.