Se manca la tuta di protezione. Due adolescenti, un femminicidio, perché?

 
 

Qualche giorno fa mentre attraversavo la piazza di una ridente provincia del centro-Italia sono rimasta impressionata dalla presenza di uno stand dell’Esercito Italiano che esibiva tute per la protezione da agenti chimici. Tali dispositivi di protezione sono indossati da personale altamente specializzato per intervenire in ambienti contaminati da sostanze tossiche o radioattive. La mia prima reazione è stata di inquietudine. Perché mai dovremmo averne bisogno? Perché esporle in piazza? 

Dopo un’interessante conversazione con l’ufficiale preposto alla presentazione di queste attrezzature, ho ringraziato Dio che ci sia qualcuno disposto a fare questo lavoro estremamente necessario e in condizioni difficilissime. Non sapevo ancora che quell’immagine avrebbe parlato al mio cuore proprio oggi quando la notizia della morte di Martina Carbonaro sarebbe stata tu tutti i giornali.

Martina era una ragazza di 14 anni di Afragola (NA), uccisa da un ragazzo di 18 anni con il quale era fidanzata da ben due anni. Commentando la vicenda sul Corriere del Mezzogiorno, la psicoterapeuta romana di origini napoletane Virginia Ciaravolo, autrice del libro Femminicidi giovanili senza scampo, Roma, Armando Editore 2025, si è chiesta: “a 12 anni quale consapevolezza si abbia rispetto a certi sentimenti” - affermando subito dopo - “Non c’è una idea dei ruoli, degli equilibri. La parola amore non andrebbe pronunciata”. L’intervista prosegue sottolineando che l’educazione sentimentale è un lavoro che nel frattempo devono svolgere le famiglie.

In mezzo a queste tragedie non possiamo fare a meno di chiederci cosa stiamo facendo per l’educazione sentimentale dei nostri figli. Cosa c’entra questa nuova orribile vicenda con una tuta di protezione chimica? 

Mi è tornata alla mente un’immagine usata da Paul David Tripp nel suo libro L’età delle opportunità, Mantova, Passaggio 2006, nel quale affronta le sfide e le opportunità della genitorialità nell’età dell’adolescenza. L’autore descrive due atteggiamenti opposti rilevabili nelle famiglie evangeliche contemporanee poste di fronte alla cultura che le circonda: l’isolamento o l’assimilazione (pp.135-140). 

L’isolamento ci fa sentire giusti e la nostra autogiustificazione ci rende vulnerabili alle tentazioni profonde del cuore, che sono estremamente subdole – siamo ligi alle regole in superficie ma nel profondo il nostro cuore medita disegni malvagi. D’altro canto, l’assimilazione ci fa credere che le situazioni siano neutrali e che possiamo vivere in un limbo nel quale non prendiamo posizione rispetto all’una o all’altra questione, portandoci di fatto a vivere comunque vite doppie. 

Tripp sottolinea che gli adolescenti, e i genitori con loro, non hanno bisogno né dell’uno né dell’altro atteggiamento, ma piuttosto di “indossare un equipaggiamento protettivo” che filtri i veleni invisibili dell’aria culturale e protegga dagli idoli del cuore (pp.141-144).

Tale equipaggiamento protettivo è fornito da una visione biblica del mondo e della vita la quale, come genitori, si deve fornire loro fin dai primi momenti della loro vita o appena possibile, se si è conosciuto il Signore Gesù quando i figli sono già piuttosto cresciuti. Questo filtro protettivo darà loro la possibilità di vivere in mezzo a una “generazione distorta e perversa” osservando le situazioni, i sentimenti, le emozioni e le proprie relazioni come un’opportunità per essere “astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita”, promotori della cultura di Cristo (Fil 2,14-16) che si oppone fermamente alla cultura delle tenebre.

Pensare che i nostri figli, che abbiano 12, 17 o 25 anni, siano esenti dal cadere in situazioni simili a quelle di Martina e Alessio è da sprovveduti, così come lo è non dare loro tutta l’attrezzatura protettiva necessaria per affrontare le sfide che le emozioni e le relazioni adolescenziali portano con sé. Questo è un impegno quotidiano, costante, che dura anni e che va a fondo nella Parola di Dio per mostrare Cristo nelle situazioni della vita reale. In questa relazione i genitori sono i responsabili primari di un’interazione profonda che non dipende da quanto o come i figli si esprimono, si aprono o si atteggiano. “Gli adolescenti in definitiva non parlano liberamente né ascoltano bene” ricorda Tripp (p.145) che indica in uno schema (p.142-143) alcuni dei maggiori idoli della cultura moderna che possono offrire spunti anche per un’educazione sentimentale che vada in profondità. 

Il rischio nel trascurare questa responsabilità è di temere di più la tuta protettiva della Parola di Dio, che il veleno mortale del peccato con il pericolo serio che essi cadano vittime di relazioni tossiche o peggio ancora che siano loro stessi ad alimentare situazioni tossiche, che lasciano conseguenze indelebili nel cuore e nella vita.