Settant’anni di Rai, specchio della cultura italiana

 
 

La Rai, la Radiotelevisione italiana, il tre gennaio ha compiuto 70 anni. Per il nostro Paese si tratta di un anniversario importante, non tanto per celebrare la longevità di un’impresa culturale, quanto per riflettere su come essa lo abbia plasmato, allevato, cresciuto e raccontato. C’è un rapporto simbiotico tra la Rai e la cultura italiana.

Prima che il 3 gennaio 1954 l'annunciatrice televisiva Fulvia Colombo pronunciasse le fatidiche parole “La Rai − Radiotelevisione Italiana inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive”, la televisione in Italia non esisteva. Nessuno possedeva un televisore. Difficile immaginarlo. Difficile immaginare che nelle case degli italiani non scorressero immagini e voci di sottofondo nei momenti di convivialità o di solitudine. Eppure in un Paese appena uscito dalla Seconda Guerra Mondiale e in ripresa dopo il ventennio fascista, la radio e il cinema erano gli unici mezzi con cui gli italiani si informavano e intrattenevano. 

Gli inizi della Rai hanno coinciso con l’avvento della televisione e, quindi, con la possibilità per tutti di affacciarsi al mondo in un tempo in cui l’analfabetismo e l’arretratezza erano ampiamente diffusi nella società italiana.

È noto che alla Rai spesso si dà il merito di aver unificato il Paese linguisticamente e culturalmente e di aver costruito, di fatto, una cultura nazionale che non esisteva se non nell’immaginario della classe dirigente. Di questi settant’anni si possono dire molte cose: non da ultimo che la Rai, benché abbia spesso sentito annunciare la sua sentenza di morte, in realtà gode ancora di ottima salute e la sua vocazione generalista continua a lanciare tendenze e a seguire gli sviluppi tecnologici e culturali del Paese, cambiando, adattandosi, evolvendo, ma restando di fatto, sempre molto uguale a sé stessa e al centro della vita italiana.

Da subito la Rai è stata plasmata dalla cultura di una borghesia medio-alta di matrice cattolica, aperta alla secolarizzazione, ma sempre ben impiantata nelle proprie radici religiose. Sono passati molti anni e, pur con gli ovvi ed incontestabili cambiamenti, la situazione attuale non è mutata.

Così il Paese che rappresentava ha tenuto insieme l’Angelus papale della domenica mattina e l’ombelico della Carrà il sabato sera; il rassicurante don Matteo e gli scandali di Sanremo; i progressisti di Rai tre e i democristiani di Rai uno. La cultura che la Rai tutti giorni proietta nelle case è sintetizzata, ad esempio, dalla Vita in diretta condotta da Alberto Matano la cui unione civile con il compagno è tema ricorrente nelle trasmissioni mentre si inviano servizi sui miracoli di Padre Pio, apparizioni della Madonna e sui viaggi del Papa tra un commento e l’altro delle notizie di cronaca. Con la sua pretesa pedagogica, di fatto ben riuscita, la Rai non ha solo rappresentato mondi diversi tra loro, ma è riuscita a fonderli e a farne un unico impasto che ha plasmato la cultura italiana in profondità. E’ stato un pluralismo di facciata, ma un duo-polio catto-progressista di fatto diventato un monolite escludente.

Nella cultura della Rai non occupano quasi nessuno spazio le minoranze religiose. Il servizio pubblico italiano ignora di fatto la pluralità restituendo l’immagine erronea di un Paese che è religiosamente un monolite, con qualche cespuglietto folcloristico attorno come le trasmissioni a cura di minoranze di minoranze (come Protestantesimo che rappresenta la minoranza dei protestanti italiani) e in orari impossibili. C’è Rai Vaticano con cui ogni giorno il Paese viene informato su quello che ha detto il Papa regnante su tutto lo scibile umano, ma non ci sono strutture dedicate a dar voce a chi cattolico non è. Anche la sedicente cultura “laica” rappresentata in Rai, mentre sembra prestare attenzione alle mode culturali, non apre mai spazi a voci diverse. Si è mai vista la cultura evangelica rappresentata nei talk-show? Si è mai sentito un parere di un esponente evangelico su questioni di attualità? Si è mai raccontata la vita e la presenza delle comunità evangeliche disseminate nel territorio? Si è mai parlato di un libro evangelico?

Si può guardare Rai Uno, Rai Due, Rai Tre e tutti gli altri canali, ma è la stessa melassa, o quasi. Dopo 70 anni, la Rai è l’impresa culturale più importante del Paese, ma è ancora deficitaria quanto al grado di pluralismo che rispecchia.