Ti sei chiesto da dove viene il cibo sulla tavola? Una domanda (anche) di giustizia

 
 

Il 30 luglio è la Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani (ONU 2013), cioè il reclutamento o il trasporto o il trasferimento o l’accoglienza di persone per mezzo di violenza, coercizione e/o inganno con lo scopo di sfruttarle in ambiti diversi. Cosa c’entra tutto ciò con il cibo? L’ultima indagine di Save the ChildrenPiccoli schiavi invisibili” ha messo i riflettori sull’enorme sfruttamento che in Italia avviene in modo sistematico nell’agricoltura, non solo di adulti ma sempre più spesso di minori. In particolare, ha denunciato le situazioni dei figli dei braccianti che lavorano nelle province di Latina e Ragusa dove ci sono due dei più grandi mercati orto-frutticoli d’Italia. Di quelle province alla gran parte di noi sono note le cittadelle che sono mete turistiche. Per chi come me è romano, ad esempio, il nome di Sabaudia è legato alle belle dune sabbiose e non alle serre intensive di verdura. Per altri il litorale ragusano è il luogo del relax del fine settimana e non lo sfruttamento di esseri umani e terra dei 30 km di “Striscia Trasformata” per la coltivazione dei nostri pomodori pachino. Lavoro minorile, isolamento, privazione, abbandono scolastico e difficoltà di accesso all’istruzione, oltre a violenze, sfruttamento e abusi sessuali: tutto questo e molto altro c’è dietro al cibo che mettiamo sulle nostre tavole ogni giorno.

Mentre facciamo scelte “etiche” di qualunque tipo, non possiamo scappare dalla realtà dell’ingiustizia che sembra non avere mai fine. Mentre mangiamo con riconoscenza i frutti della terra, mentre condividiamo con le nostre chiese dei pasti comunitari, non dovremmo mai smettere di sentire nel profondo della nostra anima un bisogno impellente di equità, un grido di giustizia per un crimine che coinvolge tutti noi. Lo Spirito santo ci ricorda le parole di Cristo “Beati quelli che sono affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati” (Matteo 5,5). Di che giustizia sta parlando il Signore Gesù?

Mentre mangiamo, avvertiamo la fame di giustizia? Abbiamo l’appetito spirituale attivo tanto quello alimentare? Ci chiediamo se il cibo che stiamo mangiando abba seguito filiere di giustizia? Ci interroghiamo sull’eventualità che la preparazione del cibo abbia comportato sfruttamento e abusi? Riflettiamo sull’impatto ambientale di come è stato prodotto e commercializzato il cibo e come sarà smaltito?

Certo, la fame e la sete di giustizia di cui parla Gesù non si limitano agli effetti distorsivi sul sistema della vita e devono sempre partire dall’autocritica, invece di puntare il dito solo sugli altri. E’ il cuore di tutti la fucina della malvagità. Inoltre, qualunque soluzione che non vada alla radice del problema, per quanto utile e necessaria, è superficiale, provvisoria, penultima se non affronta la questione del peccato. Certamente Dio nella sua grazia comune provvede mezzi, leggi e persone che mettono un freno all’ingiustizia del sistema esteriore di vita, ma Cristo va molto oltre e ci dice che il problema dell’ingiustizia umana sta nel peccato in quanto tale e che esso è più vicino a noi di quanto vogliamo ammettere.

I discepoli di Cristo sanno che non c’è possibilità alcuna per loro di essere veramente giusti e di instaurare la giustizia nel mondo a prescindere dall’opera di Dio. Questo non significa essere indifferenti all’ingiustizia o qualunquisti di fronte al grido assordante di giustizia che si eleva in ogni parte del mondo. Come chiese dovremmo essere più consapevoli della realtà delle ingiustizie che ci circondano e che ci coinvolgono e come prima risposta dovremmo sempre predicare l’Evangelo nella sua semplicità e franchezza: “Cristo ha sofferto una volta per i peccati, lui giusto per gli ingiusti, per condurvi a Dio” (1 Pietro 3,18) e la sua promessa di saziare gli affamati di giustizia si compie per coloro che riconoscono il proprio bisogno. Predicare e vivere l’evangelo: partendo da noi, alimentando spazi reali di vita evangelica, nel piccolo e nel grande, a livello personale e sistemico.

Chi è stato saziato dalla giustizia di Dio, la desidera ancora più ardentemente. È il paradosso biblico di una fame e una sete perennemente saziata e perennemente in crescita, perché come scrive l’apostolo Paolo “liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia” (Rom. 6,18) perché è nell’imitare Cristo e nel cercare la Sua giustizia che noi troviamo la nostra felicità e gioia.

Come credenti siamo abituati a ringraziare per il cibo che mettiamo sulle nostre tavole e a chiedere a Dio le sue benedizioni affinché faccia del bene alla nostra salute. Forse ringraziamo e benediciamo anche la persona che ha preparato quel cibo, ma quanto spesso preghiamo per le persone che hanno lavorato per produrlo, per la loro salute e incolumità? Preghiamo per i loro “padroni” affinché siano giusti? Preghiamo perché possano avere l’occasione di ascoltare la Parola di Dio? Preghiamo per le nostre autorità affinché esercitino la giustizia? Come chiese siamo promotori o coinvolti in ministeri di giustizia per alleviare, prevenire, e denunciare le ingiustizie lì dove Dio ci ha posti? Coloro che sono affamati di giustizia sono impegnati anche a contrastare l’ingiustizia, nella propria vita e nel mondo, perché Dio è impegnato in avanguardia in questa impresa e ci chiede di seguirlo. Anche il cibo sulle nostre tavole deve annunciare e promuovere la giustizia di Dio!

P.S. La prossima edizione delle Giornate teologiche tratterà il tema “Fede e cibo” (Padova, 8-9 settembre 2023).