“Tutto intorno a te”. Anatomia del nostro narcisismo

 
tutto intorno a te
 

Era il 2007 quando una martellante campagna pubblicitaria di Vodafone faceva dire ad un’ammiccante Megan Gale: “Tutto intorno a te”. Pochi anni dopo la banca Mediolanum fece uno spot in cui un tizio, dopo aver fatto un cerchio sulla sabbia in cui lui stava al centro, diceva “Tutto intorno a te”. Sono solo due esempi di recenti pubblicità che spacciano un “vangelo” molto in voga nella nostra cultura: un mix di narcisismo (amore di sé), idolatria (culto di sé) e ansia terapeutica (cura di sé). Insomma, “tutto intorno a te” ci dice il mondo esiste nella misura in cui io sono il centro, io posso esaltarmi e io posso trarne vantaggio.

Sono state queste le prime immagini che mi sono venute in mente leggendo il brillante saggio di Sharon James “It’s All About Me! Ministry in a Therapeutic Culture”, uscito sull’ultimo numero della rivista teologica britannica Foundations N. 80 (Aprile 2021). James è un’analista socio-politica presso The Christian Institute e autrice di numerose pubblicazioni tra cui, in italiano, Il piano di Dio per la donna, Mantova, Passaggio 2007 e Nella gioia e nel dolore. Quattro donne che vissero per Dio, Caltanissetta, Alfa&Omega 2006. E’ stata anche oratrice di una delle più riuscite edizioni delle Giornate teologiche dell’IFED: quelle del 2006 su “Fede cristiana e femminilità”.  

“Tutto intorno a me” è il mantra che ci passiamo da almeno tre generazioni. James traccia gli sviluppi recenti dal libro dello psicanalista Philip Rieff, Gli usi della fede dopo Freud. Il trionfo della terapeutica in Freud, Jung, Reich e Lawrence, Milano ILI 1972 a quello del sociologo americano Christopher Lasch, La cultura del narcisismo, Milano, Bompiani 2001. Partendo da questi studiosi, si evince come l’orizzonte di trascendenza sia passato da Dio all’io, il giudizio sia passato da sé agli altri se non a nessuno (“Nessuno mi può giudicare, nemmeno tu” cantava Caterina Caselli nel 1966). A ciò si aggiunga il filtro dell’emotivismo personale (tutto deve passare dalla mia esperienza e si conclude lì) e la confusione sessuale attuale ed ecco che la miscela della cultura narcisistica è bell’e fatta. 

Come ha risposto la chiesa evangelica a questa tettonica culturale di proporzioni epocali? James registra la perdita di fiducia nella visione biblica del mondo a scapito delle narrazioni dell’individualismo espressivo. Non che ci siano stati espliciti ed intenzionali allontanamenti, ma di fatto l’evangelicalismo si è trovato sballottato tra le correnti perdendo spesso la bussola e trovandosi alla mercé del vangelo narcisista del “tutto intorno a te”. Sulla scia di pungenti e puntuali analisi del teologo David Wells, James sostiene che molti evangelici si siano rinchiusi in una fede in cui esisto “io e Gesù”: hanno fatto spazio al “proprio” Gesù, l’amicone, il confidente, il complice del nostro narcisismo, perdendo per strada la cosmologia biblica, l’ecclesiologia cristiana e l’impegno a tutto campo a cui la fede in Gesù Cristo ci chiama. La “mia” esperienza del “mio” Gesù (quello che piace a “me”) si è discostata dalla presentazione biblica della dottrina di Gesù e su Gesù. In fondo, anche nelle chiese piace un Gesù che ci gira intorno come compagno di giochi e merende, facendoci sentire bene, ma lasciando che tutto continui a ruotare intorno a noi. Se Gesù è funzionale al “tutto intorno a me”, va bene; altrimenti no. Questa non è altro che idolatria narcisistica spacciata per fede cristiana. Tragicamente, si tratta di un pericoloso e mortale veleno.

Come tenere alta la parola dell’evangelo di fronte a questa marea crescente che, inesorabilmente, sta coprendo anche la cultura evangelicale? James suggerisce qualche pista e il suo non può che essere uno schizzo (che però sta elaborando nella forma di un libro di cui questo articolo è un capitolo). Echeggiando il celebre incipit del Catechismo di Westminster, James conclude così: “Lo scopo principale delle nostra vita non è la realizzazione di sé: è adorare, godere ed ubbidire al nostro Dio che ci chiama ad amare e a servire gli altri”. Per non morire di cancro narcisista, urge tornare alla cura dei fondamentali della fede cristiana e da lì ripartire.