Unità cattolica o unità romana? Due facce della stessa medaglia

 
 

2025, 1700 anni dopo il concilio di Nicea (325) che riconobbe Gesù Cristo come vero uomo e vero Dio, in opposizione all’arianesimo che credeva in Gesù uomo ma non in Gesù Dio. In occasione di questo anniversario saranno molti gli appelli all’unità cristiana. L’idea di fondo è che tutte le confessioni cristiane: cattolica romana, ortodossa e protestanti, professano il Credo che il concilio di Nicea ha redatto; dunque, hanno la stessa fede e l’anniversario deve incoraggiarle a riscoprire la loro unità. Non è così? In altre parole. l’anniversario sarà speso in chiave ecumenica. 


Di fronte ai tanti discorsi sull’unità che saranno riproposti quest’anno, una domanda da porsi è la seguente: in che senso la chiesa cattolica romana intende e pratica l’unità cristiana? Si parla di unità, ma cosa significa?


Non più tardi di qualche settimana fa, papa Francesco ha ricevuto in udienza una delegazione del Consiglio Metodista Mondiale (16/12/2024). Nel suo discorso di saluto, Francesco ha detto:


“Il prossimo anno (2025, ndr), i cristiani di tutto il mondo celebreranno i millesettecento anni dal primo Concilio ecumenico, Nicea. Questo anniversario ci ricorda che professiamo la stessa fede e, quindi, abbiamo la stessa responsabilità di offrire segni di speranza che testimoniano la presenza di Dio nel mondo”


Qui c’è tutta la retorica ecumenica intorno al centenario di Nicea. Il papa dice: siccome tutti riconosciamo l’importanza del Concilio di Nicea, ciò vuol dire che “professiamo la stessa fede”. Nell’ottica del papa, ciò deve spingere a camminare, pregare e operare insieme. Per Francesco siamo già tutti uniti in modo reale ma imperfetto e proseguiamo in un cammino di unità verso l’unità sacramentale, istituzionale e magisteriale: cioè verso l’unità cattolica romana.


Questa è l’ottica dell’ecumenismo “cattolico” attuale, dopo il Vaticano II. Eppure, per lunghi secoli, il cattolicesimo romano ha avuto tutt’altra considerazione dell’unità e del modo di promuoverla. 


Ad esempio, si può tornare all’enciclica di Leone XIII, Satis Cognitum (1896) in cui si trovano toni e argomenti molto diversi: 


“Chi dissente anche in un solo punto dalla verità divinamente rivelata rigetta assolutamente ogni fede, poiché rifiuta con ciò di onorare Dio come verità suprema e motivo formale della fede […]”.


Qui Leone XIII dice che basta il dissenso su un punto per non avere la stessa fede. Applicato all’anniversario di Nicea, il papa direbbe che, pur facendo tutti i cristiani professione del Credo di Nicea, solo i cattolici romani sono uniti veramente perché gli altri (ortodossi, protestanti) dissentono su più punti e quindi dissentono sulla fede intera.


Qualche decennio più avanti, nell’enciclica Mortalium Animos (1928), Pio XI invitava tutti i cristiani eretici e scismatici, cioè i non cattolici, a tornare all’ovile della chiesa cattolica per trovare l’unità, la verità e la grazia di Dio. Il presupposto era che l’unità era detenuta e vissuta dalla chiesa cattolica soltanto e che essa non esisteva fuori da Roma.


E’ evidente il doppio registro del cattolicesimo romano: quello attuale è “cattolico” cioè invitante, generoso, ecumenico; quello di ieri era “romano” cioè spigoloso, centripeto, esclusivista. Possono apparire in contraddizione tra loro, ma, a ben guardare, sono due accenti diversi di una sola strategia. Sono due facce della stessa medaglia. Dopo il Vaticano II, il cattolicesimo dice che siamo “già” cattolicamente uniti per invitare tutti ad avvicinarsi ancor più alla pienezza “romana” dell’unità. Prima del Vaticano II, diceva che “non ancora” c’è unità perché non siamo tutti sotto la giurisdizione sacramentale e gerarchica di Roma. 


Uno concede, l’altro distanzia, ma il punto di partenza (Roma ha la pienezza della grazia e il cattolicesimo è la forma di cristianesimo di diritto divino) e l’obbiettivo (la chiesa di Roma è il sacramento di unità di tutto il genere umano) sono i medesimi.


Prima di dire che, siccome aderiamo al Credo di Nicea, professiamo tutti la stessa fede, pensiamoci bene. Non si può affrontare l’unità per cui il Signore Gesù ha pregato e per cui ha dato la vita con tanta superficialità e con ingenuità rispetto alla strategia del cattolicesimo romano di raccogliere tutti “cum Petro” (riconciliati con Roma) e “sub Petro” (sottomessi a Roma).