Galeazzo Caracciolo (1517-1586). Una biografia travagliata della Riforma in Italia
Caracciolo è un tipico cognome che suona napoletano. Sono stati molti i Caracciolo, infatti, di nobile estrazione ad assumere posizioni d’influenza nella città nel corso dei secoli. Nella piccola ma significativa storia degli evangelici italiani però, spicca la storia di un Caracciolo che fu costretto ad abbandonare la sua città, vivere in esilio e ad essere il primo tra i profughi religiosi italiani ad ottenere la cittadinanza ginevrina.
La storia di Galeazzo Caracciolo risale infatti ai primi anni della Riforma Protestante. La sua vita fu un esempio di come molti italiani influenti non solo vennero a contatto con le idee protestanti, ma sperimentano una conversione personale che però li vide costretti a lasciare il paese o a rinunciare alla propria fede in pubblico.
Oggi, possiamo leggere la sua biografia in un libriccino edito da Passaggio nel 2018: La vita di Galeazzo Caracciolo (1517-1586). La sua ricchezza sta nel fatto che il testo originale risale al 1586 e fu scritto da Nicola Balbani, un altro esule italiano a Ginevra per motivi di fede che aveva condiviso con Caracciolo un pezzo di vita e con il quale aveva contribuito a fondare a Ginevra la chiesa per gli italiani esuli per motivi religiosi.
Nonostante si tratti di poche pagine, la biografia di Caracciolo non solo racconta della sua vita fatte di rinunce a motivo della fede, ma è uno spaccato nel mondo della Riforma in Europa. La necessità di fondare nuove chiese, di accogliere gli esuli, di sviluppare una teologia solida, di sfuggire alle persecuzioni papiste. Si possono intravedere tra queste righe l’influenza di Vermigli, il cuore pastorale di Calvino e i reali rischi per la vita che i credenti italiani dell’epoca hanno vissuto.
Galazzo Caracciolo nacque proprio nel 1517, anno in cui Lutero affisse le 95 tesi al portone della cattedrale di Wittenberg, dal marchese di Vico. La sua famiglia era quindi di una certa influenza e Galeazzo fu cresciuto per essere un perfetto cortigiano. Infatti, arrivato a diciotto anni cominciò a viaggiare per passare lunghi periodi presso la corte dell’Imperatore Carlo V.
Balbani sottolinea come Caracciolo fosse ben avviato nel suo contesto, pieno di ricchezze e ambizioni, ma che ben presto il Signore lo portò a considerare doni ben più preziosi. Presto Caracciolo fece la conoscenza di alcuni discepoli di Juan de Valdès appartenenti all'élite intellettuale ispano-italiana di Napoli. In seguito, fu esposto alle predicazioni di Vermigli ed iniziò ad interessarsi ai temi della fede in modo sempre più approfondito. Nonostante i pericoli in cui sapeva di incorrere, iniziò a meditare sul da farsi per vivere la propria fede in modo coerente. Scrisse a Vermigli ed intrattenne altri rapporti epistolari in cui si chiedeva se la via fosse il nicodemismo (vivere la fede in modo nascosto) o farsi accusare a rischio della vita dall’Inquisizione, da cui ormai si sentiva attenzionato.
La decisione fu per l’esilio così come Vermigli suggeriva. Balbani sottolinea la difficoltà di tale scelta per Caracciolo. Sposato con Vittoria Carafa, figlia del duca di Nocera, conduceva una vita coniugale felice dal quale aveva avuto sei figli. L’abbandono di moglie, figli e famiglia d’origine e le conseguenze economiche e sociali che questa scelta avrebbe avuto su di loro fu motivo di grande tormento per lui. Nonostante ciò, all’età di 34 anni abbandonò Napoli e si recò a Ginevra per vivere in modo aperto e attivo la sua fede evangelica.
Gli anni vissuti a Ginevra sono descritti dal suo biografo come difficili e a volte tormentati. Ci furono pressioni dalla famiglia affinché tornasse e soprattutto la questione di un possibile ricongiungimento con sua moglie occupò i primi anni di esilio. Lei si rifiutò sempre di raggiungerlo o di aprirsi alle sue idee riformate. Discusse della possibilità di divorziare da lei con Calvino e Vermigli. La cosa fu vagliata e presa in serissima considerazione, fino a quando, dopo anni di rifiuti e di allontanamenti, il matrimonio fu considerato sciolto e per Galeazzo si aprì l’opportunità di una nuova unione con una vedova del posto.
La sua vita ginevrina fu spesa in semplicità e umilità al servizio della chiesa locale. Intrattenne rapporti con altri martiri italiani e si occupò molto della condizione di chi viveva la persecuzione a causa della fede nel suo paese. Morì nel 1586 all’età di sessantanove anni e il suo amico Balbani ne scrisse presto la biografia. Il testo divenne molto letto nel ‘600 ed ebbe svariate traduzioni.
Fu scritto per amore di un fedele servitore del Signore ma anche come testimonianza contro chi preferiva il nicodemismo per non perdere vantaggi, ricchezze o posizione sociale. Oggi, questa biografia offre agli evangelici contemporanei uno spaccato della storia della militanza evangelica. È commovente pensare che la libertà delle chiese evangeliche italiane oggi sia anche frutto delle incessanti preghiere di coloro che cinquecento anno fa chiedevano al Signore che il nostro Paese conoscesse una Riforma e che in tanti potessero vivere vite trasformate dal Vangelo.