Agostino predicatore (I). Saggio chi predica, attivo chi ascolta

 
 

Immaginiamo di trovarci ad Ippona, nell’attuale Algeria, verso la fine del quarto secolo. Ci rechiamo verso quella che i locali chiamano Basilica Pacis. Appena varcata l’entrata veniamo rapiti da una scena peculiare: in mezzo all’edificio, su una struttura rialzata, c’è Agostino che sta esponendo, con la sua voce decisa ma (da quanto si sa) non molto possente, un passo della Scrittura. Intorno a lui, in piedi, ci sono centinaia di persone ammassate che lo stanno ascoltando con vivo interesse. Alcuni stanno bisbigliando nelle orecchie del vicino cercando di rispiegare il concetto un po’ più complicato che il pastore ha appena esposto, altri ancora stanno annotando ogni sua parola: sono gli stenografi, grazie ai quali oggi siamo a conoscenza del contenuto dei sermoni predicati dal vescovo d’Ippona. 

A proposito di quest’ultimi, l’Augustinianum, cioè il Pontificio Istituto Patristico sito a Roma, ha deciso di dedicare i consueti incontri annuali incentrati sulla figura di Agostino, per approfondire alcuni dei suoi sermoni. Il primo incontro, tenutosi il 14 febbraio e condotto da Pasquale Cormio, ha cercato di introdurre gli astanti nel mondo della predicazione agostiniana. A grandi linee, i circa 1000 sermoni (rinvenuti) di Agostino possono essere suddivisi in tre categorie: Il sermo ad populum, cioè la predicazione legata a un testo biblico specifico solitamente connessa ad un episodio di attualità, il tractatus, cioè il commento esegetico e teologico di un libro della Bibbia, e l’enerratio in Psalmos, cioè la raccolta dedicata all’esposizione di tutti i 150 salmi. Così come le categorie, anche la durata dei sermoni variava sensibilmente: dalla mezz’ora alle due ore e mezza, con una cadenza giornaliera (se necessario, nel caso della catechesi e di tematiche più complesse, anche più volte al giorno).

Possidio, discepolo e biografo di Agostino, riporta che quest’ultimo “predicava la parola di salvezza eterna con più insistenza ed entusiasmo e con autorità maggiore” e che non declinava gli inviti a predicare in altre regioni, facendolo con “alacrità e diligenza, mentre la chiesa del Signore si sviluppava e fioriva sempre di più” (Vita Augustini 9.1). Lo stesso Agostino condivide che anche quando si recava ad ascoltare i sermoni altrui, solitamente gli veniva chiesto di contribuire al discorso appena esposto. Al di là dello stile retorico e degli impegni personali di Agostino, elementi che variano da persona a persona, l’aspetto che secondo l’Ipponense doveva rimanere fondamentalmente invariabile era la consapevolezza da parte del predicatore del suo ruolo dato da Dio. 

Per Agostino, il predicatore è il servitore che è chiamato ad interpretare e insegnare la Parola di Dio. Egli non è colui che esalta sé stesso, ma lo strumento che annuncia e predica Cristo. Per questo, il vero predicatore non è colui che è eloquente e in grado di esprimersi eccellentemente, ma colui che è sapiente agli occhi del Signore e desidera trasmettere la saggezza eterna della Parola al popolo di Dio. Non è una persona che pavoneggia le sue abilità retoriche e la sua conoscenza, ma colui che esalta Cristo e il suo vangelo. In altre parole, “egli è il predicatore della Parola, non il predicatore delle parole” (Serm. 71. 13.22). Al contempo, il predicatore non deve dimenticarsi di essere alla pari di coloro ai quali insegna. Egli è sì maestro, ma “rispetto a quell’unico Maestro” deve ricordarsi di essere un condiscepolo e di frequentare la stessa scuola degli altri. (en. Ps. 126,3).

Allo stesso tempo, come si è accennato, la predicazione non è un esercizio unilaterale, che interessa solo l’oratore tenendo poco conto dell’uditorio. Non è un soliloquio ben strutturato, ma è un’esposizione della Parola indirizzata a persone fatte in carne ed ossa. Quest’ultime non sono e non dovrebbero essere passive, ma partecipare attivamente mostrando interesse attraverso i loro cenni verbali, la loro postura, i loro gesti e sguardi (Serm. 99, 6). Nonostante ciò, la risposta estemporanea degli astanti non deve sviare il predicatore, il cui desiderio e fine dovrebbe essere quello di vedere dei risultati concreti scaturiti dall’esposizione della Parola. Non basta ascoltare, ma bisogna applicare. A questo proposito Agostino disse: “Avete ascoltato, avete lodato. Sia ringraziato Dio. Avete ricevuto il seme e risposto con le parole… tuttavia, fratelli miei, queste vostre lodi sono soltanto le foglie degli alberi; noi andiamo in cerca del frutto” (Serm. 61, 12.13) 

Dall’Ippona del quarto secolo, ritorniamo all’Italia del ventunesimo secolo. Siamo stati in ascolto di uno dei più grandi teologi del passato. Forse abbiamo annuito con gli occhi alle sue parole e abbiamo manifestato la nostra approvazione. Lungi dal rischiare che rimangano foglie degli alberi, riusciremo a produrre frutti graditi al Signore?