Anche di letame vivrà l’uomo. L’ultimo libro di Elpidio Pezzella

 
 

Nel corso della sua più che centenaria storia, il mondo evangelico-pentecostale italiano ha avuto predicatori/pastori i cui scritti sono ancora fonte di ispirazione. Si pensi, ad esempio, a Giuseppe Petrelli (1876-1957) e Roberto Bracco (1915-1983) che meritano di essere letti e studiati per la qualità dello scavo spirituale e l’ampiezza della prospettiva evangelica delle loro opere. Ecco, Elpidio Pezzella è forse il rappresentante del pensiero evangelico-pentecostale italiano che, sulla scia di questi “padri”, sta producendo opere che possono essere paragonate alle loro. 


L’ultima in ordine di tempo è il volume La cura del letame. La parabola del vignaiolo e il fico, un anno dopo, Giugliano (NA), Multimedia Editore 2025. Con quel suo riferimento allo stallatico, il titolo è originale e impattante per un commento pastorale alla storia raccontata nei Vangeli. Eppure, esso mette bene a fuoco un elemento centrale della parabola: di fronte all’aridità apparente della pianta, la richiesta del contadino di concimarla ancora per un tempo per provare a farne ripartire la fruttificazione contiene il cuore della storia. È il letame il fattore della svolta. 


Pezzella è abile nel presentare tutte le tessere contenute nella parabola e nel mettere insieme il mosaico risultante. Al letame ci arriva dopo aver approfondito le figure del padrone della vigna, della vigna, del fico e del vignaiolo. La parabola parla della vita cristiana e della realtà di stagioni di aridità che tutti i credenti possono affrontare. A fronte della mancanza di frutti, il contadino chiede un supplemento di tempo per poter concimare ancora. La pazienza divina non esegue meccanicamente ciò che sarebbe dovuto, ma mette in campo una strategia volta a recuperare la pianta. Il letame è allora lo strumento della grazia divina nella vita personale ed ecclesiale per favorire la ripresa.


Come dicevo, la lettura di Pezzella è esegeticamente meticolosa, ma anche in grado di collocare la parabola nella ricca tessitura biblica: la Scrittura contiene una teologia biblica delle metafore agrarie dentro cui anche la parabola deve essere collocata. Detto questo, si capisce la provenienza omiletica del commento e il suo afflato primariamente pastorale. 


Sono almeno tre le considerazioni che emergono dalla lettura:


1. il tema dell’aridità spirituale è collegato alle condizioni percepite del mondo evangelico italiano. Sempre con grazia e tatto, l’Autore non tace il fatto che le chiese evangeliche appaiono essere, generalmente parlando, luoghi spiritualmente “spenti”, alla ricerca semmai di qualche show attrattivo e in preda a transumanze di membri da chiesa a chiesa, ma con evidenti deficit di dedicazione e profondità evangelica. In altre parole, viviamo il rischio della secolarizzazione o della mondanizzazione. Ciò produce aridità spirituale non solo sul piano personale ma anche su quello delle reti di chiese. I rimedi posticci o “sensazionalistici” non servono. C’è bisogno del letame dell’insegnamento, del discepolato e della vita di chiesa degna di questo nome. Pezzella perora la causa di chiese che siano tali o che riscoprano la loro alta vocazione: essere luoghi della Parola e della testimonianza, comunità guidate di credenti salvati per grazia in cammino.


2. il ministero dell’accompagnamento a cui la concimazione spirituale fa riferimento (sia da parte di anziani/pastori che da parte di altri credenti) non è mai stato semplice. Tuttavia, l’Autore segnala che nel nostro tempo esso debba affrontare delle criticità nuove che sembrano “esplose”: l’ampia gamma di disturbi emotivi, i disagi psicologici dilaganti, famiglie frantumate e l’immaturità crescente trasversale alle generazioni. Non che prima questi fenomeni non ci fossero, ma oggi appaiono più virulenti. Da un lato, è lo stesso letame spirituale di cui c’è bisogno; dall’altro, i ministeri di consulenza biblica e la consultazione con figure altre rispetto al pastore (medici, assistenti sociali, ecc.) sembrano essere sempre più necessari. In questo campo, le chiese evangeliche faticano ancora a trovare un assetto collaborativo virtuoso. Pastori che pensano di far tutto loro o chiese che appaltano la pastorale a cosiddetti “professionisti” sono due facce dello stesso problema irrisolto.


3. La terapia del letame mette in discussione anche le comprensioni sbrigative della crescita cristiana. C’è chi pensa che la vita cristiana sia una serie di iniezioni emotive o di “liberazioni” istantanee. La ricetta della crescita suggerita dalla parabola è diversa. Essa ha a che fare con la sequela di Cristo, il discepolato cristiano, l’apprendimento delle discipline, il riorientamento della vita. Certo, vi possono essere momenti e snodi decisivi, ma la gran parte della concimazione avviene nel segreto del cuore, nelle operazioni continue della grazia di Dio che sana le tossicità della vita. In altre parole, meno eventi spettacolari, più ubbidienze quotidiane. 


Il letame di Dio è ancora efficace per ridare vitalità all’aridità di vite spente, prima che sia troppo tardi.