“Avrei dovuto pregare di più”. Retrospettiva autobiografica di Tim Keller

 
 

“Guardando indietro, c’è qualcosa che avresti fatto diversamente nel tuo ministero?”

“Senza dubbio, avrei dovuto pregare di più”

Così si conclude un’intervista di Sophie Lee a Tim Keller che World Magazine ha da poco pubblicato in due parti (prima parte; seconda parte). E’ un biglietto di ingresso nel mondo di Tim Keller: la sua storia, la conversione, il matrimonio con Kathy, la formazione teologica a Gordon-Conwell, il primo pastorato incolore in Virginia, il trasferimento a New York, la fondazione della chiesa Redeemer e la sua crescita, l’impatto avuto a New York e nel mondo, i libri, la fama, le sfide, le critiche, i problemi di oggi. Insomma: c’è tutto Keller o quasi. Tra l’altro, Keller visitò Roma nel 2014, presentando il libro Ragioni per Dio al Senato, incontrando i pastori e gli studenti e predicando la sera ad un’affollata riunione evangelica. Quella visita fu a suo modo memorabile (cfr. “L’evangelo per la città”, 28 maggio 2014).[1]

Chi ha letto Keller o conosce qualcosa di lui, troverà in questa intervista molti spunti su cui riflettere non solo sulla parabola del suo ministero, ma anche su una visione di cristianesimo evangelico che ha avuto un certa popolarità negli Stati Uniti e, di riflesso, in circoli geografici e culturali più ampi.

Nell’intervista, Keller ammette che negli ultimi anni, con la polarizzazione esasperata nella società americana tra “conservatori” e “progressisti”, la sua posizione teologicamente riformata, ma culturalmente aperta e politicamente non schierata, è stata oggetto di crescenti critiche da entrambi i fronti. I liberali non lo considerano tale perché è un esclusivista (Gesù è il solo Salvatore), un inerrantista (la Bibbia è la Parola di Dio), un complementarista (il pastorato è per uomini chiamati). I conservatori non lo considerano tale perché non appoggia pubblicamente i candidati repubblicani, non è letteralista su Genesi 1-2 (anche se è creazionista e crede nella storicità di Adamo ed Eva), parla molto di giustizia sociale e di razzismo (e per questo viene etichettato come sostenitore della “teoria critica della razza”).

Ognuno troverà spunti interessanti, forse. Io ne traggo tre. 

Intanto, la sua riflessione sui “tempi” del ministero e sulla loro gestione. Fino a 50 anni, Keller era un (quasi) perfetto sconosciuto. Nell’ombra ha lavorato evangelizzando, predicando, discepolando, insegnando, costruendo reti e irrobustendo una visione. Poi è diventato una personalità pubblica nota al grande pubblico (evangelico), ma era ormai spiritualmente solido per “reggere” il successo senza farsi sopraffare da istinti giovanili da celebrity da quattro soldi. Fino a 60 anni, non ha scritto granché, ma ha letto molto immagazzinando e macinando testi e temi. Non si è fatto prendere dalla frenesia di pubblicare ogni articolo. Arrivata la maturità teologica e ministeriale, ha iniziato a pubblicare libri molti popolari: Ragioni per Dio, Il Dio prodigo, Idoli e inganni, Il matrimonio, ecc. Morale: ordinariamente, ad ogni stagione del ministero corrisponde una chiamata particolare e, sempre ordinariamente, non è utile saltare le tappe, volendo subito tutto. E’ bene volare basso, stare attaccati alla realtà spirituale del momento, non sovradimensionarsi, lavorare in modo incrementale aspettando che sia l’approvazione di Dio ad aprire opportunità nuove, senza forzarle.

Poi, ho trovato stimolante la sua navigazione nella polarizzazione attuale nella cultura evangelica americana. Dice Keller: “se un cristiano vive in ubbidienza alla Scrittura, lui o lei non starà dentro l’ideologia politica binaria (ndr: conservatore vs progressista). Sono arrivato al punto di abbracciare la confusione”. In un contesto come gli USA, il fronte teologicamente conservatore tende ad essere associato a uno schieramento culturalmente e politicamente conservatore (leggi: repubblicano), come se vi fosse una relazione di simbiosi o di necessità. Keller dice che il messaggio biblico, pur inculturandosi in una storia particolare, scombina le facili classificazioni politiche e non può perdere la voce profetica che critica lo status quo, qualunque esso sia, perché comunque affetto da idoli palesi o occulti. In altre parole, la cultura evangelica, proprio perché è radicata nella Scrittura, è culturalmente e politicamente conservatrice e riformista allo stesso tempo.

Infine, la conclusione dell’intervista da cui siamo partiti. “Guardando indietro, c’è qualcosa che avresti fatto diversamente nel tuo ministero? Senza dubbio, avrei dovuto pregare di più”. E’ un’umile e onesta ammissione di una lacuna spirituale a cui, anche un uomo del calibro spirituale di Keller, non ha saputo far fronte in modo accettabile. A settembre 2021 le Giornate teologiche dell’IFED hanno avuto come tema: “La preghiera, questa sconosciuta”, a testimonianza del fatto che la preghiera, per quanto sulla bocca di tanti, resta una disciplina carente nella vita di molti, anche tra le personalità più in vista del mondo evangelico. Una sobria ammissione su cui ciascuno si può rispecchiare.  

[1] Vedi anche il resoconto sull’incontro al Senato: “Ragioni per Dio: per un confronto civile e partecipato”, Ideaitalia XVII (2014/1) p. 3.