C’era una volta il pastore-teologo. E’ bene che torni

 
 

C’era una volta il pastore-teologo. Senza idealizzare il ministero pastorale e senza coltivare nostalgie dell’età dell’oro (che nella storia della chiesa non esistono), c’era un tempo (e anche lungo) in cui il pastore predicava, curava le anime, scriveva, studiava, partecipava alle vicissitudini della chiesa allargata, organizzava la vita della comunità, difendeva la fede in contesti pubblici. Era un pastore-teologo, l’uno con l’altro.

Si pensi a figure di Padri della chiesa come Ireneo di Lione, Agostino, Basilio di Cesarea, Gregorio Magno. Si pensi a Riformatori come Lutero, Calvino, Bucero, il nostro Pietro Martire Vermigli. Erano uomini di chiesa con una spiccata vocazione teologica. Si pensi ai Puritani inglesi e ai pastori del risveglio americano come Jonathan Edwards. Erano figure pubbliche i cui sermoni erano stimolanti, profondi ed impattanti ben oltre i confini della chiesa. 

Poi, a partire dall’Ottocento, sotto la spinta del liberalismo che mise in discussione la “scientificità” della pastorale, la teologia diventa pertinenza dell’accademia dominata da interessi e criteri esterni ed estranei alla chiesa. I “teologi” si trasformano in accademici che sviluppano discorsi rarefatti ed elitari, i “pastori” assumono un ruolo intellettualmente dimesso, pubblicamente limitato. La teologia si fa all’università, la pastorale nella chiesa. Il risultato è che, da allora in poi, o si è teologi o si è pastori, o l’uno o l’altro. 

Questa divaricazione ha avuto effetti distorsivi: i teologi si sono via via sottratti dalla vita della chiesa diventando una cerchia di cultori di linguaggi astrusi e asfittici; i pastori hanno avuto la tendenza a scimmiottare gli assistenti sociali e i mediatori di comunità, leggendo (forse) di teologia ma non facendola. E’ stata una situazione lose-lose: ci hanno perso tutti. 

E’ questa riflessione che fa da sfondo ad un libro non recentissimo, ma sicuramente stimolante di Kevin Vanhoozer – Owen Strachan, The Pastor as Public Theologian. Reclaiming a Lost Vision, Grand Rapids, Baker 2015. La provenienza è nord-americana e quindi il suo discorso va contestualizzato a quella regione evangelica. Eppure, molti spunti sono immediatamente applicabili anche altrove. 

Ad esempio: l’uso dei tre uffici di Cristo per descrivere la mission del pastore. Il pastore è un “profeta” che annuncia la parola nella chiesa e sulla piazza pubblica; è un “sacerdote” che prega ed è vicino alla comunità; è un “re” che vive e trasmette l’ordine di Dio nella vita. In un certo senso, tutta la chiesa ha la medesima, triplice vocazione, ma il pastore la riceve e la vive con un’intensità propria. Bella è anche l’immagine di Vanhoozer relativa al pastore come “artigiano” nella casa di Dio in costruzione tramite il ministero dell’evangelista (proclamazione), del catechista (insegnamento), del liturgista (culto) e dell’apologeta (difensore e testimone).

Leggere il libro di Vanhoozer e Strachan dall’italia evangelica non è un dato ininfluente. Vero è che nella storia dell’evangelismo italiano abbiamo avuto figure alte di pastori-teologi: si pensi al già citato P.M. Vermigli, ma anche a Giovanni Diodati e Francesco Turrettini. Tuttavia, si tratta di figure pre-ottocentesche. L’evangelismo successivo, per tutta una serie di ragioni e condizionamenti, ha accettato la prassi secondo cui la teologia fosse qualcosa di “distante” dalla vita della chiesa e che i pastori/anziani/conduttori fossero persone di buona volontà, certamente lontane dal profilo intrecciato di pastore-teologo. 

Il tema è “grosso” e non può essere risolto in poche battute senza scadere nel qualunquismo. Il libro di Vanhoozer e Strachan può aiutare ad attivare alcune riflessioni. Preghiamo per anziani/pastori che siano anche teologi? Incoraggiamo i giovani in formazione ad ambire ad essere pastori/teologi? Per chi è già nel ministero pastorale, ci formiamo in modo continuo per vivere in modo fruttuoso ed intrecciato la vocazione di essere anziani/pastori degni di questo nome e cioè evangelisti, catechisti, liturgisti e apologeti, nella chiesa e sulla piazza pubblica?