“Gli evangelici votano Trump”, ma questo non definisce gli evangelici

 
 

Ci risiamo. Gli occhi del mondo sono puntati sugli Stati Uniti almeno fino a novembre, quando si terranno le prossime elezioni presidenziali. Le elezioni sono sempre un fatto importante: benché spesso si dica che gli equilibri del mondo stanno cambiando, l’America resta una super potenza e quello che succede alla Casa Bianca ha impatto su tutto il mondo. 

A destare l’attenzione c’è la sempre più concreta possibilità che a ricandidarsi per i Repubblicani sia Trump e che si ritroverà probabilmente a sfidare Biden per i democratici. L’età dei due sfidanti, le precedenti esperienze alla Casa Bianca, il basso consenso che Biden riceve come presidente, i processi giudiziari di Trump e la sua, per così dire, controversa personalità renderanno questa campagna elettorale tra le più strane della storia degli Stati Uniti. 

In questo senso non è strano che lInternazionale abbia dedicato la copertina e l’articolo centrale del suo primo numero di febbraio a cercare di indagare le ragioni, per molti inspiegabili, del successo di Trump. Ciò che è interessante è che abbia deciso di farlo attraverso le lenti di un giornalista evangelico che su The Atlantic ha raccontato di come la politica americana con l’ascesa di Trump abbia impattato la sua vita, quella di suo padre, pastore di una chiesa in Michigan, i loro rapporti familiari, comunitari e più in generale il mondo evangelico americano. 

L’articolo consta di nove pagine intense e fitte che raccontano di come la politica, con l’ascesa di Trump, abbia cambiato l’evangelicalismo (bianco) americano. Tim Alberta, autore dell’articolo, ha raccontato a cuore aperto la conversione di suo padre, il pastorato in una chiesa del Mid-west, il suo essere cresciuto e formato in un ambiente conservatore e di come la chiesa fosse (anche letteralmente) la sua casa. 

Divenuto giornalista, Alberta ha cominciato ad occuparsi di politica e così, nel 2016 sono iniziate le crepe. La campagna elettorale di Trump nel 2016 fu estremamente controversa; eppure l’81% degli evangelici bianchi alla fine votò per lui. Da giornalista, Alberta ha cominciato a chiedersi perché e a scrivere di quanto fosse inconcepibile associare il cristianesimo al trumpismo. Nonostante credesse di non dire nulla di sbagliato, la pressione su di lui è cresciuta in maniera insopportabile. Suo padre lo incoraggiò ad occuparsi di altro, fino a quando, alla sua morte, durante i suoi funerali, i duemila membri della chiesa dove era cresciuto anni non hanno iniziato a mostrargli aperta disapprovazione per le sue parole contro Trump fino ad abbandonare la congregazione quando a guidarla è arrivata un pastore non-repubblicano. 

Alberta ha anche analizzato attraverso l’esperienza di suo padre un percorso, secondo lui, condiviso da molti, troppi, nel movimento evangelico: da conservatore, a patriota, a militarista a trumpiano convinto che gli Stati Uniti siano una nazione benedetta da Dio e fonte di speranza in un mondo alla deriva. Alberta alla fine ne parla come un’eresia culturale che però spiega il successo in termini non solo numerici di Trump. 

Per un lettore evangelico al di qua dell’Atlantico e non direttamente coinvolto nella competizione elettorale, l’articolo racconta in presa diretta un fenomeno i cui echi erano già arrivati in Italia e di cui si era già parlato, fino a spingere alcuni teologi come Michael Reeves a scrivere dell’importanza di non abbandonare il termine “evangelico” nonostante le semplificazioni e le storpiature. L’evangelismo ha una sua identità primariamente spirituale e globale che non può essere ridotta in categorie politiche di una regione, per quanto influente essa sia. 

Detto ciò, tradotto in italiano e pubblicato sull’Internazionale l’articolo è (volutamente?) parziale. È raro che la stampa italiana si occupi degli evangelici nel mondo; spesso quando lo fa guarda al mondo americano e sempre di più ne parla come un movimento politico  attraversato da molteplici stravaganze. Non è un caso, infatti, che per aiutare il lettore italiano a capire di cosa si stia parlando è inserito un trafiletto in cui si spiega che l’evangelicalismo fa parte del cristianesimo protestante e che, non essendoci un papa come per il cattolicesimo, è facile creare una chiesa e diventare pastore. Da qui le diverse denominazioni e l’identificazione con i valori conservatori/repubblicani che plasmano il movimento. E’ un ritratto troppo povero per essere verosimile.

L’articolo dà dell’evangelicalismo una definizione sbrigativa e parziale che fa risuonare l’esperienza dell’autore, già così lontana per il nostro contesto, una follia di una non meglio definita religione politicizzata. Per Alberta, “molti evangelici si considerano combattenti in una battaglia contro il male (cioè, i democratici) e pensano che Trump sia benedetto da Dio”. Questo può essere vero per molti negli USA; eppure, il movimento evangelico è un fenomeno spirituale non definito dalla politica di oggi, un fenomeno storico precedente la storia americana e un fenomeno globale, eccedente la provincia USA.