Gli evangelici alla conquista del mondo? Una lettura politicizzata e semplicistica

 
 

“Gli evangelici alla conquista del mondo”, un titolo d’impatto, se non fosse che Thomas Johnson e Philippe Gonzalez, registi del documentario in tre puntate prodotto da Arte tv Francia, ne danno un accezione completamente negativa e restituiscono un’immagine dell’evangelicalismo al limite di un movimento pericoloso per la tenuta delle democrazie. Trump e Bolsonaro sono due leader criticati e ritenuti rappresentanti degli evangelici.

Il documentario parte da alcuni dati oggettivi: dal 2020, 660 milioni di persone nel mondo si considerano evangeliche. Mentre si pensava che il cristianesimo in tutte le sue confessioni (cattolica, ortodossa e protestante) fosse in declino, grazie all’evangelicalismo, è invece l’unica religione in forte crescita. Dal 2010 al 2020, infatti la crescita dell’evangelicalismo è stata del 30% a livello globale, mentre nello stesso periodo l’aumento della popolazione è stata solo del 12%.

Il pregio del documentario francese è di interessarsi a questa realtà e di non ignorarla, cercando di approfondire la conoscenza di un fenomeno non facile da riassumere e da interpretare. La chiave di lettura scelta per raccontarlo però è stata quella politica. La tesi di fondo è che, dal secondo dopoguerra in poi, il fondamentalismo evangelico abbia creato una potente macchina politico-religiosa, capace di plasmare e influenzare le sorti politiche di alcuni Paesi che sono svoltati a destra. I casi presi ad esempio sono gli Stati Uniti di Trump, il Brasile con il sostegno degli evangelici a Bolosnaro, l’Australia con l’elezione di Scott Morrison, la svolta nazionalista di alcuni paesi Europei ed infine il caso particolare di Israele dove gli evangelici, soprattutto americani, influenzano la politica anti-palestinese a causa del loro credo sulla terra promessa.

Visto dall’Italia, questo documentario è utile per capire sia come siamo percepiti da chi ci guarda con occhio completamente estraneo ancorché viziato da chiavi di lettura riduttive e molto pregiudizevoli. Sebbene il documentario faccia correttamente risalire le origini di questo movimento alla Riforma protestante, ne parla sin dall’inizio come un distacco dal superpotere politico di Roma piuttosto che come un’istanza spirituale. Poi, la storia del movimento viene tracciata facendola combaciare con la storia degli Stati Uniti e la vita di Billy Graham è usata come chiave di lettura per seguirne le dinamiche.

È innegabile che il movimento evangelico abbia caratterizzato la storia culturale e intellettuale degli Stati Uniti, e che attraverso l’attività missionaria si sia poi diffusa anche in altri paesi, così come è innegabile che la figura di Billy Graham sia stato un collante per il movimento evangelico e che il suo sforzo missionario abbia effettivamente impattato l’evangelicalismo anche in contesti minoritari in altri paesi del mondo, ma è riduttivo schiacciare tutto su un solo paese e su una sola persona si si vuole comprenderne seriamente l’identità.

La storia del movimento non è certo cosa facile da ricostruire. Il libro di Pietro Bolognesi e Leonardo De Chirico, Il movimento evangelicale, Brescia, Queriniana 2002 può essere utile per orientarsi in questo complicato mondo. L’inchiesta però ha il bias di leggerne ogni aspetto da un punto di vista politico e in questo senso il “Patto di Losanna”, le agenzie missionarie, l’opera di Billy Graham, le posizioni etiche su aborto o eutanasia sono interpretate come mosse di una strategia volta a conquistare l’influenza culturale nella maggioranza dei Paesi per controllarne le politiche. Probabilmente alcune frange dell’evangelicalismo non sono immuni da questa tentazione. Inoltre l’evangelicalismo americano sta effettivamente attraversando un momento di crisi dovuto all’uso strumentale della politica e del suo appiattimento su una linea partitica e politica. 

Questa devianza ha sicuramente un impatto importante sull’evangelicalismo mondiale, data l’influenza che gli Usa hanno avuto nell’espansione del movimento, ma non è questo il collante che tiene insieme il movimento evangelicale nel complesso. La sua ragion d’essere è di matrice teologica e riguarda l’importanza della Scrittura, l’esclusività di Cristo, l’esperienza personale della conversione e lo slancio missionario.

Il documentario non si astiene dal tracciare questi tratti fondamentali ma finisce per parlare dell’inerranza della Scrittura e della sua autorità finale come interpretazione letterale della stessa, contrapponendola all’esercizio dell’esegesi, confondendo in questo modo piano diversi e tracciando il profilo dell’evangelico medio come di un credulone che interpreta letteralmente ogni parola della Bibbia rendendolo irrazionale.

Senza l’interpretazione delle categorie teologiche lo slancio missionario viene inteso come conquista, l’attenzione alla cultura come imposizione di una morale, l’etica biblica sulla famiglia e sessualità come l’esclusione e la discriminazione di una parte della società e così via… 

Purtroppo, al di là della tendenziosità del documentario, gli intervistati non danno motivo di credere il contrario. Va ricordato che, effettivamente, nel 2016 l’81% di coloro che si definivano evangelici negli USA hanno votato per Trump sostenendolo senza riserve anche negli aspetti più discutibili. Ciò ha portato delle fratture che hanno spinto molti ad allontanarsi dal termine evangelico, come il documentario puntualmente riporta citando il fenomeno degli ex-evangelici, incarnato nel report dal caso eclatante di Frank Schaeffer, figlio dell’apologeta Francis Schaeffer, che si proclama amaramente pentito di aver servito con la sua arte cinematografica quella che lui definisce una propaganda politica contro i diritti delle donne, e cioè campagne antiabortiste. 

Il documentario, quindi, restituisce un’immagine dell’evangelicalismo mondiale vassallo di quello americano, condizionato dalle vicende interne a quel Paese e diviso in correnti conservatrici e progressiste. Ne parla come di un fenomeno a tratti grottesco, prendendo alcune immagini di culti particolarmente carismatici e alimentati dal vangelo della prosperità, a tratti pericoloso in quanto fortemente in crescita e capace di frenare il progressismo. 
Nonostante le devianze non possano essere negate, l’evangelicalismo non è riducibile a questo e non è nemmeno analizzabile in modo così semplicistico. Le sue matrici sono di origine teologica e l’origine dell’interesse per il mondo e la cultura viene da comprensioni soteriologiche ed escatologiche più che da pretese di egemonia culturale e politica. Benché alcune devianze recenti abbiano messo in imbarazzo l’evangelismo, autori come Tim Keller e Michael Reeves invitano a non abbandonare il termine “evangelico”, ma piuttosto a riappropriarsene mettendo in discussione i fenomeni alla base di tali crisi come il nominalismo, la polarizzazione politica, la poca scolarità, il becero fanatismo.