Kigali sfida Canterbury. Una nuova pagina nell’anglicanesimo?

 
 

Dire qualsiasi cosa dell’anglicanesimo è un’impresa complessa. Per una chiesa come quella anglicana che ha avuto come momento fondativo un atto politico di Enrico VIII, poi passata da una stagione di Riforma protestante, poi ricattolicizzata, poi accomodante verso ogni specie di liberalismo teologico, poi distintasi in chiesa “alta” e “bassa” all’interno di un complicato sistema istituzionale fatto di strati sovrapposti “a cipolla” e intessuto nella monarchia britannica, … insomma quando si parla di anglicanesimo si fanno i conti con un mondo in cui c’è tutto e (quasi) il contrario di tutto. 

Ciò detto, non può passare inosservato quanto accaduto a Kigali (Ruanda) in questi giorni. Una conferenza congiunta di GAFCON (Global Anglican Future Conference) e GSFA (Global South Fellowship of Anglican Churches) rappresentava l’85% della Comunione anglicana mondiale. In essa vescovi e leader anglicani da tutto il mondo si sono ritrovati per decidere cosa fare dopo che il sinodo della Chiesa d’Inghilterra (parte della Comunione anglicana) ha approvato lo scorso febbraio la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso e l’arcivescovo di Canterbury ha appoggiato tale decisione. A Kigali è stato redatto un documento, l’Impegno di Kigali (Kigali Committment), in cui si invita l’arcivescovo di Canterbury ed il sinodo inglese a pentirsi di aver approvato qualcosa che la Scrittura considera “peccato” e a tornare all’insegnamento della Parola di Dio. Inoltre, il documento afferma che, avendo l’arcivescovo mancato di esercitare il suo compito all’interno dell’insegnamento biblico riconosciuto nei documenti ufficiali della chiesa, la sua autorità è svanita: l’85% del mondo anglicano non si sente più rappresentato, tanto meno guidato, da Canterbury.

La questione non è nuova, ovviamente. E’ da 25 anni che in ambito anglicano si discute il tema della sessualità e delle relazioni che la chiesa può o non può benedire. E’ da anni che la stragrande maggioranza del mondo anglicano (africano, asiatico, latino-americano, nord-americano, australiano) incoraggia l’arcivescovo di Canterbury (primus inter pares tra tutti i vescovi anglicani) a non cedere rispetto alla linea cristiana tradizionale e ad attenersi all’insegnamento biblico che prevede che, al netto della dignità di ogni persona in quanto creatura di Dio, solo l’unione matrimoniale tra un uomo e una donna possa essere benedetta da Dio. 

Ora che le decisioni sono prese, l’85% del mondo anglicano non riconosce più l’autorità dell’arcivescovo di Canterbury perché ha ceduto su questo punto considerato cruciale. Praticamente la Comunione anglicana che aveva nella struttura tradizionale un punto di riferimento non c’è più. Il mondo anglicano maggioritario si stacca da Canterbury e dall’Inghilterra e inizia un cammino nuovo. Per andare dove e come, non è ancora chiaro, ma il dado è tratto. 

Tanta polvere dovrà decantarsi prima di capire cosa succederà. Il nuovo anglicanesimo emerso a Kigali creerà nuove strutture ecclesiastiche globali alternative a quelle incentrate su Canterbury? Sarà davvero una pagina nuova nella storia dell’anglicanesimo in cui una chiesa istituzionale e moltitudinista, dopo una stagione di sbandamento liberale, si rinnova in senso evangelico? Quale sarà l’impatto di quanto sta accadendo in seno all’anglicanesimo globale sul movimento evangelicale più ampio, soprattutto su quelle chiese protestanti che stanno discutendo sugli stessi temi?

Nel frattempo, alcuni dati possono essere intravisti:

  1. l’anglicanesimo evangelicale a livello globale ha preso sempre maggiore coscienza di sé e ha raggiunto un grado di consapevolezza tale da non poter più sottostare ai diktat della chiesa d’Inghilterra dominata da agende liberali che, di fatto, stanno svuotando le chiese.

  2. Come già osservato da decenni, il centro di gravità del cristianesimo si è spostato dal vecchio mondo europeo al Sud del mondo. Non è un caso che la chiesa anglicana sia morente in Inghilterra, ma fiorente in Kenia, Tanzania, Nigeria, Australia, ecc. La foto dei “primati” anglicani a Kigali mostra che la leadership è di persone di colore. Non più Canterbury, ma Kigali è la capitale dell’anglicanesimo?

  3. L’investimento di ministeri come quello di John Stott (che qualcuno ha definito “abramitico e apostolico”) e della Langham Partnership ha, nel corso dei decenni, avuto scarso impatto in Occidente, ma un ampio seguito nel Sud del mondo. Molti di questi leader anglicani mondiali sono stati formati da iniziative promosse sulla scia del ministero di Stott.

E’ interessante che, in Occidente, le notizie da Kigali non abbiano ricevuto alcuna copertura mediatica, sia nella stampa secolare che in quella religiosa. Il solito occhio cieco di chi non vuole vedere la crescita del movimento evangelicale nel mondo o prova imbarazzo di fronte a prese di posizione che non sono “politicamente corrette”, ma biblicamente solide?