Che cos’è umano? A margine dell’ennesimo femminicidio

 
 

Non è facile provare a dire qualcosa di vero a commento delle tragedie che insanguinano la terra ogni giorno ed echeggiano dai media con una ripetitività ossessiva e ottundente. Le guerre si susseguono l’una all’altra con il loro bilancio di vite umane spezzate, i morti sul lavoro, gli incidenti stradali, le malattie… sembrano mali ineluttabili ai quali presto, nostro malgrado, si rischia di fare l’abitudine. Ma quando queste tragedie toccano giovani vite di bambini e adolescenti, di giovani nella primavera degli anni, il nostro stupore e dolore si fanno intollerabili. Tuttavia, l’enorme clamore mediatico che ne segue, con tutto il suo strascico di inutili parole e di vani lamenti, non riesce a coprire il profondo vuoto silenzioso che si apre come un abisso al cospetto della nostra umanità perduta.  

Sappiamo che il fatto di sangue di oggi non sarà l’ultimo, domani sarà superato da un altro. Oggi una giovane ragazza in procinto di laurearsi perde la vita per mano di un coetaneo, ritenuto amico. Oggi ognuno deve fare la sua diagnosi del male e fornire la ricetta per la guarigione. Allora c’è chi accusa la società, in questo caso patriarcale, quando in realtà accanto a questa è già all’opera la società matriarcale. La prima ha sfornato generazioni di maschi dominanti e autoritari, la seconda schiere di mammoni smidollati e narcisisti.  La prima ha allevato donne succubi e infedeli, la seconda donne bramose di vendetta e di rivalsa. Ma dare la colpa alla società significa deresponsabilizzare le persone. D’altra parte, non è più possibile urlare al mostro, perché è il bravo ragazzo della porta accanto. Inutile aspettare una qualche confessione di colpa da parte di qualcuno, un’autocritica, un esame di coscienza, ma ciascuno occulta il mostro nel proprio intimo.

Allora, colpiscono per la loro insensatezza e per la sproporzione di fronte alla tragedia le proposte di istituire un’ora di educazione affettiva nelle scuole, magari con l’obbligo di appendere al muro una statuina appesa a una croce. Anche i muri lo sanno: quando i bambini sono abbastanza grandi per andare a scuola, i giochi sono fatti. Sono i primi tre anni di vita che danno l’impronta all’identità di un bambino, ammesso che abbia il privilegio di avere genitori ed educatori con un’identità. Ma se l’identità umana è smarrita, se la natura umana è pervertita, e questo dura da millenni, non ci si può aspettare altro che le necessarie conseguenze che oggi vediamo e sentiamo.

Inoltre, qualcuno dovrebbe spiegare che tipo di competenze avrebbero gli insegnanti per poter educare al rispetto umano. Perché anche loro sono umani come gli altri, con i loro mostri nascosti nell’intimo, con le loro vite irrisolte, i loro problemi incombenti e tutto ciò che affligge la comune umanità e che non ci permette più di pensare che siamo in grado di farcela da soli, neanche se stiamo “tutti insieme”.

Gli appelli moraleggianti fatti dalle cattedre, dalle televisioni e dai tavoli dei congressi, dai pulpiti di ogni genere suonano ipocriti e perfino oltraggiosi, perché soffocano la verità con la menzogna di pensare che l’umanità possa salvarsi da sola. Non c’è umanesimo che tenga, il vecchio e il “nuovo” sono entrambi fetidi e purulenti. Se Dio è morto tutto è permesso, scrisse un grande scrittore russo. Ma qui ciò che è morta è l’umanità, mentre si vuole che Dio rimanga il grande sconosciuto. Eppure, dove non c’è timore di Dio non ci può essere amore per il prossimo. Dove la natura umana è snaturata a tal punto, si spiana la via alla mostruosità.

In fondo i giovani, come del resto tutti gli umani, hanno bisogno di sapere chi sono, perché sono venuti al mondo, qual è la ragione per vivere la loro vita. E per sapere questo bisogna che rivolgano lo sguardo alla sorgente della vita, perché la vita è stata manifestata. La luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato le tenebre più della luce. Possa questa luce trovare donne e uomini, giovani e adulti, bambini e vecchi pronti a riceverla, per conoscere il vero Medico che può ridare vita alle nostre generazioni morenti e creare una nuova umanità, secondo l’immagine che avevamo quando siamo stati pensati e creati.