Chiudere la scuola per il Ramadan? In gioco è la teologia del calendario

 
 

Ogni tanto ci rendiamo conto quanto il calendario non sia uno strumento neutro di misurazione del tempo, ma specchio di una cultura plasmato su valori e ideologie sedimentate. Chi stabilisce i giorni di festa? Perché un giorno deve essere considerato straordinario rispetto ad altri? Come giustamente sottolinea il fascicolo “Teologia del calendario”, Studi di teologia 43 (2010), mettere le mani sul tempo è un’ambizione sempre presente nella cultura. Alle prese col pluralismo nella società, cambierà anche il calendario?

Non è passata inosservata la recente polemica che ha visto protagonista l’istituto comprensivo “Iqbal Masih” di Pioltello, comune del Milanese. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera (17/3/2024), la scuola avrebbe deciso di chiudere il 10 aprile in concomitanza dell’ultimo giorno di Ramadan (Eid al Fitr), durante il quale si celebra la fine del mese del digiuno (sawm) prescritto dal Corano. Siccome il 40 per cento dei 1300 studenti dell’istituto è di fede islamica, capita spesso agli insegnanti di ritrovarsi con classi semi vuote durante il giorno della festività musulmana. Ecco allora che il consiglio d’istituto ha votato all’unanimità decidendo di chiudere completamente l’istituto, aggiungendo un altro giorno “festivo” al calendario scolastico e lasciando a casa anche gli studenti non musulmani. 

A questa notizia, una rappresentante di un partito politico noto per il suo conservatorismo cattolico ha reagito sottolineando come una tale scelta “sia un pericoloso arretramento sulla nostra identità” e che “chiudendo le scuole per feste che non fanno parte della nostra cultura e della nostra storia diamo ancora più forza a quel processo di islamizzazione che si diffonde con forza in tutta Europa”. È evidente che la reazione a tale scelta sia dettata dall’idea che la scuola statale sia in realtà appannaggio della cultura romano-cattolica. 

Perciò, qualsiasi decisione scolastica che non conferma ed esalta la discutibile identità cattolico-italiana, dovrebbe essere considerata un’intromissione non gradita e completamente da rigettare. Così come era successo con la polemica intorno alla presenza del crocifisso nelle aule delle scuole statali, ora alcuni temono che questa modifica al calendario porterà nel tempo al soppiantamento e alla rimozione graduale di un altro crocifisso: quello delle festività cristiane in favore di quelle islamiche e di altre religioni.

D’altra parte, la decisione dell’Istituto di chiudere per andare incontro alle famiglie musulmane e ai professori, rivela un’incomprensione dell’applicazione del pluralismo religioso. Così come la religione cattolica non dovrebbe godere di un rapporto di privilegio con le scuole statali, lo stesso dovrebbe essere per la religione islamica. Se da una parte la normatività dell’insegnamento della religione cattolica esclude tutti coloro che non aderiscono a quest’ultima, la chiusura di una scuola per andare incontro agli studenti musulmani, inficia su tutti gli altri studenti di altre religioni e ideologie che vorrebbero e dovrebbero partecipare normalmente alle lezioni. 

La vera libertà religiosa vuol dire permettere agli studenti di assentarsi durante i giorni delle loro festività religiose, non inserire un’altra festività al calendario scolastico in nome dell’“inclusivismo”, finendo per escludere tutti coloro che nulla hanno a che fare con determinate celebrazioni religiose. 

Il calendario riflette la teologia del tempo che si professa. Il nostro calendario si muove tra la difesa della tradizione cattolico-repubblicana e il cambiamento verso la società plurale. Né l’arroccata conservazione del primo, né la sostituzione con un altro calendario ispirato dall’islam sono la risposta corretta. In nome del pluralismo, perché non consentire un giorno di assenza giustificata per motivi religiosi a tutti gli studenti, un giorno stabilito dalla comunità religiosa di appartenenza, senza che sia lo Stato ad imporre a tutti lo stesso giorno?