Concupiscenza. Dibattiti evangelici intorno ad una parola antica
Ai non addetti ai lavori nel campo della filosofia e della teologia morale, la parola concupiscenza fa pensare all’etica antica (Platone, Aristotele) e a quella tardo-antica medievale (Agostino e Tommaso d’ Aquino). In realtà, essa è stata al centro di intesi dibattiti al tempo della Riforma e nei secoli successivi, costituendo una delle faglie che dividevano cattolici e protestanti. Vero è che è entrata in un cono d’ombra nella sensibilità contemporanea. Non se ne parla quasi più. In giro non si sentono molti sermoni o discorsi sulla concupiscenza.
Detto ciò, negli ultimi anni il termine è ricomparso nelle discussioni evangeliche di area anglosassone. Dai tomi polverosi della teologia controversistica del XVI-XVII secolo, la diatriba sulla concupiscenza è tornata in auge in relazione alla questione delle attrazioni per lo stesso sesso. La domanda è: l’attrazione, il desiderio, dunque la concupiscenza verso le persone dello stesso sesso è in sé stesso peccato o no? Alcune voci evangeliche britanniche (Ed Shaw, Vaughan Roberts, Sam Allberry, John Stevens e più di recente la “Dichiarazione di Seoul” del quarto congresso di Losanna) dicono no, stranamente in linea con la posizione cattolica. Per loro la concupiscenza non è peccato.
Nel libro di Ed Shaw, L’etica sessuale nella Bibbia. Una questione di plausibilità, Chieti Scalo, GBU 2019, l’autore contesta l’idea che la purezza secondo la Bibbia significhi necessariamente avere un orientamento eterosessuale. Per Shaw chi ha un orientamento omosessuale può vivere una vita cristiana all’insegna della purezza combattendo con la concupiscenza (che non è peccato), rimanendo casto e senza necessariamente (ri)scoprire la eterosessualità. Negli USA, proprio su questo punto, importanti denominazioni come la PCA (dopo la conferenza “Revoice” 2018) hanno discusso animatamente se sia accettabile che una persona (ed in particolare coloro che hanno responsabilità ministeriali nella chiesa) si consideri definitivamente omosessuale e voglia essere riconosciuta come stabilmente tale, pur vivendo in castità. In gioco è proprio la concupiscenza. Ed ecco che un’antica parola e i vecchi dibattiti tornano attuali.
La domanda di fondo è: le attrazioni verso il peccato (concupiscenza) sono esse stesse peccato anche senza che il soggetto le traduca in azioni? Oppure la concupiscenza non è di per sé peccato se non diventa azione?
Sul tema ritorna un bel saggio di Steve Wedgeworth nel volume di David Gibson & Jonathan Gibson (edd.), Ruined Sinners to Reclaim. Sin and Depravity in Historical, Biblical, Theological and Pastoral Perspective, Wheaton, Crossway 2024, pp. 633-668. Esso si prefigge di tratteggiare una valutazione protestante della dottrina della concupiscenza. Partendo dai dati biblici, esamina poi la visione di Agostino secondo la quale il desiderio volitivo carnale (sessuale) non orientato al coniuge è già peccaminoso.
Nella Disputa di Heidelberg (1518) Lutero fa suo questo approccio insistendo sul fatto che la volontà è corrotta e quindi anche gli atti volitivi sono peccaminosi e citando testi biblici come Romani 7,7 e 18, Colossesi 3,5 e Galati 5,17. La concupiscenza è sempre peccato e continua ad esistere nella vita del credente che è simul iustus (perdonato) et peccator. Questa è la posizione di tutta la Riforma, non solo di quella luterana ma anche dell’anima riformata (Confessione di fede di Westminster 6,4-5 e Confessione di fede battista del 1689 6,4-5).
Il Concilio di Trento rigetta la lettura luterana, anzi la anatemizza, introducendo una sottile distinzione. La concupiscenza viene dal peccato e inclina al peccato, ma non è di per sé peccato. Nel battezzato, è solo potenzialmente peccato: diventa peccato se alla concupiscenza segue l’azione peccaminosa.
Sin qui le discussioni storiche. Come accennato sopra, questo dibattito è stato riaperto recentemente in ambito evangelico nel contesto della controversia sull’etica delle attrazioni verso persone dello stesso stesso. Per Shaw, Allberry, Roberts, Stevens e altri, l’attrazione per lo stesso sesso è conseguenza della caduta ma la tentazione di per sé (concupiscenza) è “amorale”. Solo se le si dà seguito diventa peccato. Se vissuta nel contesto della castità e della santificazione, non è contraria alla purezza a cui Dio ci chiama. In questo senso, la loro posizione richiama quella cattolica del Concilio di Trento e non quella di Lutero e della Riforma.
Vista la diffusione delle attrazioni verso persone dello stesso sesso nella nostra cultura, l’etica evangelica è sollecitata a rifarsi le antiche domande che hanno appassionato Agostino e Lutero che, pur avendo in mente la sfera sessuale, non avevano davanti primariamente la questione omosessuale.
La concupiscenza è peccato? La tendenza di settori dell’evangelismo anglosassone sembra abbandonare la posizione classica del protestantesimo per tornare a quella cattolica di Trento che è emotivamente più “morbida”, ma nasconde insidie non trascurabili: quella del riconoscimento dell’omosessualità come condizione intangibile e di spazi di vita “amorali”.