Cristianesimo e liberalismo (III). Il segno distintivo del cristiano? Il cuore infranto

 
 

In occasione del centenario della pubblicazione di Cristianesimo e liberalismo (1923) di Gresham Machen, pubblicato in italiano da Alfa&Omega nel 2014, Loci communes ha deciso di dedicare degli articoli su ogni capitolo dell’opera. 

Dio e l'uomo. Avere una comprensione distorta del primo porta inevitabilmente delle ripercussioni sul secondo. Se la dottrina di Dio è annacquata da pensieri extra-biblici, la dottrina dell'uomo non farà altro che risentirne. Biblicamente, Dio e l’uomo sono distinti e distanti, ma al contempo vicini perché il Creatore mantiene una relazione generale con tutti e particolare con alcuni. La deriva del liberalismo è stata quella di annullare la distanza che separa il Creatore dalla sua creatura, assumendo una posizione filo-panteistica. Ubriacatosi dell’elisir razionalistico e immanentistico, il liberalismo è arrivato ad affermare che l’uomo stesso non è altro che “parte della vita di Dio” (p. 76).

In questo quadro contorto, la realtà del peccato viene inevitabilmente annullata, se non rimossa completamente. L’uomo può far parte di Dio proprio perché non ha nulla che lo distanzia da quest’ultimo, né dal punto di vista ontologico (l’essenza) né causativo (il peccato). Non c’è nessun baratro invalicabile tra il Creatore e la creatura. Per il liberalismo, il peccato è una vecchia favola e il male del mondo, impossibile da negare, può essere armoniosamente superato facendo del bene. L’esistenza umana diventa il fine ultimo di ogni cosa e le facoltà dell’uomo sono il mezzo da sviluppare per arrivare all’apoteosi antropocentrica. Di conseguenza, Dio non diventa altro che padre di tutti, essendo annullata la distinzione biblica tra peccatori impenitenti e peccatori redenti.

Se da una parte il liberalismo “ha una visione ottimistica dell’uomo nel suo stato naturale”, dall’altra, “il cristianesimo…è la religione dei cuori infranti” (p. 77).  Il punto forte del cristianesimo è svelare all’uomo per mezzo dello Spirito Santo il suo cuore peccaminoso, infrangendolo con il messaggio ora umiliante ora liberatorio del Vangelo. L’uomo deve morire a sé stesso per far sì che Cristo viva in lui. Solo così il redento assume la sua giusta postura davanti a Dio, riconoscendo di essere un peccatore giustificato dal sangue di Cristo. Da quel momento in poi l’uomo è cosciente che il suo fine ultimo non è l’elevazione di sé stesso, ma quello di amare e glorificare Dio attraverso le sue parole e opere, e godere di lui per sempre. Solamente così, “il cristiano può procedere con gioia nello sviluppo delle facoltà che Dio gli ha dato”; è “questo l’umanesimo cristiano più alto, un umanesimo che non si fonda sull’orgoglio umano ma sulla grazia divina” (p. 78).

Ma come tenere viva la coscienza del peccato per evitare di incamminarsi in un cristianesimo pseudo-liberale? Dobbiamo rammentarci che in quanto credenti viviamo in uno stato di tensione. La guerra spirituale tra i nostri desideri carnali e spirituali è all’ordine del giorno. Siamo sì stati giustificati una volta e per sempre, ma continuiamo ad essere peccatori in cammino di santificazione. Inoltre, secondo Machen, “la nostra attenzione si è tanto concentrata sui peccati delle altre persone da aver spesso dimenticato i nostri” (p. 77). Il rischio è quello di puntare il dito al peccato altrui e non prestare attenzione alla trave che c’è nel nostro occhio. Per evitare di indurire i nostri cuori ed aumentare l’insensibilità verso il peccato “che così facilmente ci avvolge” (Eb 12,1), “la legge di Dio deve essere proclamata con la vita dei cristiani e con la parola” (p. 79). La testimonianza in Cristo e per Cristo, e la predicazione fedele di tutto il consiglio di Dio, devono intrecciarsi costantemente per scongiurare un’insensibilità spirituale dinnanzi alla nostra condizione.

Oramai, gli affluenti liberali si sono versati nel mare del cattolicesimo romano, il quale predica un miscuglio sincretista di legalismo, umanesimo e universalismo. Davanti a queste derive, i credenti e le chiese, come cent’anni fa, devono mantenere più che mai un atteggiamento elenctico: mentre da una parte si denuncia il peccato altrui alla luce del Vangelo, dall’altra si deve mantenere un atteggiamento sobrio, cosciente del proprio cuore peccaminoso, infranto dalla grazia liberatrice, sostenitrice e santificatrice di Dio.

(continua)

Della stessa serie:
Cristianesimo e liberalismo (I). Dopo cento anni è ancora attuale?” (28/3/2023)
Cristianesimo e liberalismo (II). Il legame indissolubile tra storia e dottrina” (22/5/2023)