Cristiani non solo di nome (IV). E i sacramenti?

 
 

Gli evangelici comprendono la conversione in categorie relazionali per cui Dio salva i peccatori perduti riconciliandoli a sé per opera di Cristo soltanto e per la potenza dello Spirito Santo. Tutto il vocabolario teologico della salvezza è relazionale: la rigenerazione (linguaggio della vita), la giustificazione (linguaggio giuridico), l’adozione (linguaggio familiare) e la conversione (linguaggio del cambiamento) hanno senso in uno spazio relazionale. Sono tutte immagini che ritraggono il rapporto ristabilito tra Dio e le persone in modi diversi. Gli evangelici trovano difficile pensare alla salvezza in termini sacramentali. Nella comprensione evangelica e nell'esperienza della salvezza, i sacramenti sono importanti, ma non preminenti. Sono sullo sfondo, ovviamente, come parte della vita della Chiesa data da Dio e attestata dalla Scrittura, ma non sono essenziali per la salvezza e quindi per definire chi è cristiano e chi no. Come dice Henri Blocher, tutta la dimensione sacramentale del cristianesimo è “seconda senza essere secondaria”.[1]

Per dirla semplicemente: nessun evangelico direbbe di essere cristiano principalmente perché è stato battezzato o perché partecipa regolarmente ai culti di una chiesa. Il punto di vista fondamentale del cristianesimo è che la salvezza è un dono gratuito di Dio, nostro malgrado, attraverso l'opera di Gesù sulla croce e la sua risurrezione, e appropriato mediante la fede soltanto. John Stott è di nuovo utile qui:

“Se non c'è merito salvifico né nelle nostre buone opere né nella nostra fede, non c'è merito salvifico nemmeno nella mera ricezione dei sacramenti... Non è mediante la mera amministrazione esteriore dell'acqua nel battesimo che siamo purificati e riceviamo lo Spirito, né per il semplice dono del pane e del vino nella Comunione che ci nutriamo di Cristo crocifisso, ma per la fede nelle promesse di Dio così visibilmente espresse, fede che essa stessa vuole essere illustrata nella nostra umile e credente accettazione di questi segni. Ma non dobbiamo confondere i segni con le promesse che essi significano. È possibile ricevere il segno senza ricevere la promessa, e anche ricevere la promessa oltre a ricevere il segno”.[2]

La croce, non il battesimo né l'Eucaristia, è al centro dell'orizzonte evangelico della comprensione di ciò che è il cristianesimo. Il significato hapax (una volta per tutte) della croce è sottolineato molto più dell'hapax del battesimo o degli aspetti mallon (sempre più) dell'Eucaristia. Ogni tradizione evangelica ha la sua sacramentologia, ma essa non sta al "centro" della loro fede, né il linguaggio sacramentale definisce la grammatica e il vocabolario della comprensione evangelica di ciò che appartiene al nucleo dell'essere cristiano.

Quando cristiani appartenenti a tradizioni diverse (evangelici, cattolici romani, ortodossi orientali, ecc.) dialogano su chi è cristiano e chi no, gli evangelici assumono generalmente una mentalità teologica relazionale unita a una prospettiva esperienziale, mentre altre tradizioni tendono a racchiudere l'iniziazione alla fede cristiana in una mentalità teologica sacramentale espressa nel senso di appartenenza alla Chiesa istituzionale. Molte parole ed espressioni sono le stesse, ma i loro significati teologici sono diversi a causa della distanza tra le loro strutture fondamentali sottostanti.

Legato al disagio evangelico nei confronti del linguaggio sacramentale è il posto della Chiesa in ciò che definisce il cristianesimo biblico. Essere cristiano significa aver risposto con pentimento e fede al vangelo attraverso l'unica mediazione di Cristo: la Chiesa è una creatura di questo evento, non la mediatrice né la dispensatrice della grazia. L'accento è posto sulla relazione diretta tra la persona salvata e Cristo, piuttosto che sulla Chiesa come agente corporativo che amministra la grazia.

Dall'opera compiuta una volta per tutte di Cristo e dalle ferme promesse del Vangelo, gli evangelici sperimentano anche un alto grado di certezza della salvezza. La salvezza è certa per il significato giuridico della giustificazione e per l'affidabilità escatologica delle promesse dell'alleanza di Dio. “Se muoio oggi, andrò in paradiso” è il linguaggio evangelico standard. A volte questo atteggiamento è percepito come arrogante e fuori luogo, ma riflette l'enfasi sulla “grazia soltanto”, ricevuta per “sola fede” in “Cristo soltanto” del racconto evangelico di cosa significhi essere cristiano. La salvezza, infatti, appartiene al Signore e coloro che la ricevono possono esserne certi, nonostante i loro fallimenti. In generale, i cristiani non evangelici trovano difficile appropriarsi di questa certezza e questa riluttanza deriva da un modo diverso di affrontare la questione di quale sia la natura del cristianesimo e chi sia un cristiano.

Ascoltare, comprendere e ricevere il Vangelo: questo è ciò che definisce chi è un cristiano. Un cristiano nominale può essersi avvicinato all'udirlo, comprenderlo e riceverlo, ma non è ancora cristiano perché non ci ha creduto. Il nostro compito è facilitare, sotto la guida di Dio, e in ogni modo possibile, l'annuncio e la testimonianza del Vangelo al mondo intero.

Tratto ed adattato dal saggio “To Be Or Not To Be: Exercising Theological Stewardship Of The Name Christian”, Foundations No.82 Spring 2022, pp. 8-22.

 

Della stessa serie:
“Cristiani non solo di nome (I). Si parte da Antiochia”
“Cristiani non solo di nome (II). Da Losanna a Città del Capo”
“Cristiani non solo di nome (III). La centralità della conversione”

(fine)

[1] Henri Blocher, “The Nature of Biblical Unity” in J.D. Douglas (ed.), Let the Earth Hear His Voice. A Comprehensive Reference Volume on World Evangelization, Minneapolis, World Wide Publ. 1975, p. 390. Qui Blocher parla del sacramento del battesimo, ma la sua argomentazione può essere estesa ai sacramenti nel loro insieme.

[2] John Stott, Christ the Controversialist. The Basics of Belief, Leicester: IVP, 1970, 21996, pp. 120-121.