Ecosistemi del vangelo: modello Moscow?

 
 

Credo sia stato Tim Keller ad introdurre la parola “ecosistema” nella riflessione evangelica a proposito dell’impatto della testimonianza in un contesto urbano. In Chiesa al centro, bellissimo libro di prossima pubblicazione presso la Casa della Bibbia di Torino, Keller introduce la questione in questi termini:

“Quando un movimento evangelico urbano prende forma, l’intero corpo di Cristo conosce una crescita tale che la percentuale dei credenti in città cresce. Lo chiamiamo movimento, perché consiste in un’energia trasversale a molteplici denominazioni e reti cristiane. Non risiede in una singola chiesa né in un gruppo di conduttori o in un particolare centro di comando e il suo movimento in avanti non dipende da un’organizzazione. È organico e si propaga in modo indipendente, frutto di un insieme di forze che interagiscono, sostengono, alimentano e stimolano a vicenda. Potremmo altresì definirlo un ecosistema evangelico. Esattamente come un ecosistema biologico è fatto di organismi interdipendenti, sistemi e forze naturali, un ecosistema evangelico è fatto di organizzazioni interdipendenti, individui, idee e forze umane e spirituali. Quando tutti gli elementi di un ecosistema sono al posto giusto e in equilibrio, l’intero sistema produce salute e crescita nel suo insieme e per gli elementi stessi”.

Questo concetto può aiutare ad allargare lo sguardo oltre la dinamica della propria chiesa, denominazione o agenzia, sviluppando una visione d’insieme. Il punto è: non si cresce da soli o in isolamento rispetto ad un sistema evangelico più grande. O si costruisce una rete organica (un ecosistema, appunto) oppure nessuno cresce veramente.

Esistono modelli viventi di ecosistemi evangelici? Pensando a Tim Keller, qualcuno potrebbe pensare a New York. In realtà nemmeno Keller era convinto che la sua città fosse un modello: ci sono tracce di ecosistema, ma non ancora uno che fiorisce. Di recente, sta facendo discutere il caso di Moscow, città americana nello stato dell’Idaho di 30.000 abitanti. Negli ultimi vent’anni, è stato avviato un college (New Saint Andrew), una casa editrice (Canon Press), molte chiese, iniziative culturali e sociali (in presenza e on-line). Uno dei protagonisti di questa risorgenza evangelico-riformata è Doug Wilson, pastore presbiteriano e intellettuale versatile. Moscow è al centro anche di un altro fenomeno interessante collegato: numerose famiglie evangeliche si stanno trasferendo là alla ricerca di un luogo dove vivere in un contesto “cristiano”. La popolazione della cittadina sta crescendo grazie a questa immigrazione. Del caso Moscow si occupa (anche in termini critici) il volume di Crawford Gribben Survival and Resistance in Evangelical America: Christian Reconstruction in the Pacific Northwest, Oxford, OUP 2021.

Nelle ultime settimane, il modello Moscow è stato criticato in un articolo di Kevin DeYoung, a cui Doug Wilson ha prontamente risposto. Al netto dei suoi tanti aspetti positivi, per DeYoung, più che un ecosistema evangelico (nei termini di Keller), Moscow è un sistema monocolore che flirta con un certo nazionalismo americano e sposa una concezione ricostruzionista della fede cristiana.

Non è questa la sede per entrare nel dibattito. Moscow è molto distante da Roma e dall’Italia, non solo geograficamente. Quello che più modestamente interessa è farsi qualche domanda relativa allo sviluppo di ecosistemi dell’evangelo nelle città italiane. Intanto, bisogna convincersi che il benessere della testimonianza evangelica dipende dall’esistenza di reti evangeliche funzionanti. Non siamo isole distanti e irraggiungibili, ma semmai un arcipelago fatto di chiese, opere e agenzie collegato al suo interno.

Inoltre, ecco una serie di fattori per valutare l’esistenza di forme embrionali di ecosistemi evangelici e il loro stato di salute/vitalità nelle città:

  • Esiste una rete dell’Alleanza Evangelica Italiana che funziona con le sue iniziative di preghiera e di rappresentanza?

  • Esiste una pastorale evangelica per coltivare rapporti sereni e collaborativi tra chiese evangeliche?

  • Esiste un’attività evangelistica costante e capillare che promuove l’evangelo nei quartieri, nelle università, sui posti di lavoro?

  • Esistono luoghi di formazione e di cultura evangelica che incoraggiano la crescita di ministeri e competenze cristiane trasversali?

  • Esistono iniziative culturali in grado di dialogare con la città capaci di creare un immaginario alto e ricco della testimonianza evangelica?

  • Esistono aggregazioni di professionisti evangelici nei più svariati settori (sanità, scuola, impresa) in vista di progetti nel campo educativo, assistenziale, economico?

  • Esistono progetti diaconali trasversali rispetto alle chiese che illustrano l’ampiezza della visione?

Se le risposte sono negative, come possiamo essere parte di processi che spingono verso la creazione e lo sviluppo di reti evangeliche locali? Un ecosistema dell’evangelo non nasce dall’oggi al domani. Nemmeno occorre necessariamente ispirarsi a modelli come Moscow. L’importante è avere un sogno per la crescita della testimonianza che non sia appiattita alla realtà locale e all’orizzonte personale.