Fede e cibo a Libri per Roma
Se è vero che mangiamo per nutrirci e sostenerci, non è mai vero che il cibo è solo nutrimento. Il cibo è memoria, cultura, rito, comunione e, in Italia, in particolare, spesso diventa identità, senso di appartenenza e fulcro della socialità.
Quando iniziamo a porci domande su come mangiamo, cosa mangiamo e con chi mangiamo, scopriamo che il cibo ha una valenza teologica importante.
A parlare del legame tra cibo e fede è stato Clay Kannard, pastore della chiesa Breccia di Roma, in occasione dell’ultimo incontro di “Libri per Roma” per il corrente accademico, presentando il fascicolo “Fede e cibo”, Studi di teologia – Suppl. N. 21 (2023). Riassumendo i vari contributi del fascicolo, Kannard li ha presentati come un pasto con quattro portate che aiutano a riflettere sul cibo da prospettive bibliche, etiche e culturali.
Il cibo è un fatto totale, un fatto che racchiude la natura, la cultura, la società, la vita e anche la spiritualità. Non è solo qualcosa che si trova nel piatto, ma un codice universale dell’esistenza.
Alla luce del grande racconto della Bibbia, si scopre la rilevanza del cibo attraverso una storia che inizia in un giardino rigoglioso in Genesi e culmina in un banchetto nuziale in Apocalisse. Il cibo nella Scrittura è un linguaggio di comunione tra Dio e il suo popolo.
Le tre traiettorie teologiche sul cibo presenti nel fascicolo sono: la delizia (mangiare è gustare la bontà di Dio, Salmo 34); la provvidenza (ogni pasto, per quanto semplice, testimonia la cura concreta del Signore); la comunione (condividere il cibo crea legami, rafforza le relazioni e contrasta l’isolamento del nostro tempo).
Questo quadro non è senza ombre. Il peccato ha distorto anche il nostro modo di mangiare. Il primo peccato dell’umanità è stato un atto alimentare: mangiare ciò che era proibito, credendo che avrebbe portato potere e autonomia.
Da quel momento, anche il cibo è diventato terreno di disordine: fame nel mondo, disturbi alimentari, idolatria gastronomica e riduzione del cibo a semplice merce, ecc.
Per questo l’invito del fascicolo è a vivere la teologia anche a tavola. Ogni piatto che mangiamo è un’occasione per riflettere, ringraziare, adorare. Come scrive l’apostolo Paolo: “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, fate tutto alla gloria di Dio” (1 Corinzi 10,31).
A tenere insieme le fila dei vari contributi del fascicolo c’è la domanda: è possibile promuovere una cultura cristiana del cibo che vada oltre la tavola?
La risposta è sì! Mangiare bene dovrebbe essere un atto teologico e dossologico perché siamo stati creati per mangiare un pasto con Dio, il Dio che ha fatto il cibo buono, per la nostra gioia, per il nostro sostentamento e per ricordarci che siamo finiti, che dipendiamo dalla morte per vivere, sia in modo fisico/biologico, che in modo spirituale.
Ogni boccone di cibo dovrebbe ricordarci la sua bontà nel fornirci non solo nutrimento, ma anche una soluzione al nostro problema del peccato e della morte. Ogni boccone di cibo dovrebbe ricordarci che siamo stati creati per nutrirci in comunità.
Essere umani significa vivere nella dipendenza. Fin dall’infanzia, la nostra sopravvivenza dipende dal nutrimento offerto da altri. Ogni creatura vive di dono e il cibo è il segno per eccellenza di questo dono. Non esiste cibo a buon mercato però; ogni buon pasto ha un costo. Ogni pasto è possibile solo grazie al sacrificio di qualcosa che muore. Mangiare significa riconoscere che viviamo per mezzo della morte di altri. Questo ci porta a riflettere sul grande sacrificio di Cristo. In Giovanni 6, Gesù dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha vita eterna”. Il cibo che ci nutre in eterno è costato tutto: il corpo sacrificato e il sangue versato del Figlio di Dio.
Ogni pasto è anche comunione. Il termine “compagno” viene dal latino cum panis, “colui che condivide il pane”. Condividere il cibo significa condividere la vita. A tavola si costruiscono relazioni, si coltiva l’intimità, si accoglie l’altro. Ogni tavola — se vissuta alla luce del Vangelo — diventa un luogo di comunione non solo con gli altri, ma con Dio stesso.
La tavola che celebriamo in chiesa, con la Cena del Signore, ancora di più, ci ricorda la speranza che abbiamo. Per grazia, troviamo un posto alla tavola di Cristo per riflettere sulla sua opera che ci dà il perdono e il nutrimento nella vita e dopo la morte, mentre ricordiamo che mangeremo con lui alla cena di nozze dell'Agnello.
Per dirla in breve, il cibo è un linguaggio di amore. È il mezzo con cui Dio nutre il suo popolo, ci ricorda la nostra fragilità, ci invita alla comunione e ci prepara al banchetto eterno. “Gustate e vedrete quanto il Signore è buono” (Salmo 34,8).