Nicea, l’Augustinianum, l’Angelicum e la partecipazione evangelica
Due sedi accademiche prestigiose (l’Augustinianum e l’Angelicum), 4 giorni intensi, 50 sessioni di lavoro, più di 120 oratori da tutto il mondo, alcuni tra i massimi esperti della teologia del IV secolo (tra cui Rowan Williams, Lewis Ayres e Giulio Maspero). Questo è stato il congresso internazionale “Nicea 2025. Event, Context, Reception” che si è tenuto a Roma dal 2 al 5 aprile per celebrare il 1700 anniversario del Concilio di Nicea.
Il Concilio che ha trattato la natura di Gesù Cristo, vero uomo e vero Dio, è stato al centro dell’attenzione quasi microscopica del convegno. Temi filologici, storici, canonistici, politici, sociali, ecc. sono stati trattati per apprezzare la lettera e lo spirito del Concilio. Una certa attenzione è stata dedicata alla recezione di Nicea soprattutto nei secoli immediatamente successivi e al Simbolo di Nicea (il Credo niceno) che ne incapsula la portata teologica. Si può dire che l’evento Nicea e il suo contesto siano stati oggetto di una minuziosa e specialistica disamina, fornendo lo stato dell’arte della ricerca patristica attuale e aprendo piste di lavoro da approfondire.
Massiccia è stata la partecipazione di studiosi cattolici e laici da molte istituzioni universitarie. Non trascurabile è stato l’esiguo ma significativo apporto evangelico al congresso. Ad esempio, Matthew Emerson e Brandon Smith, entrambi dell’Oklahoma Baptist University, hanno letto un paper sui progetti di ripresa (retrieval) dell’eredità teologica nicena nel protestantesimo contemporaneo. Hanno preso spunto dall’approccio a Nicea da parte di Padri come Atanasio e Basilio di Cesarea: essi, pur sostenendo la teologia nicena e il dettato del Simbolo, non basavano la loro argomentazione sull’autorità di Nicea, ma su quella della Scrittura. In altre parole, Nicea per loro non era una fonte di autorità a sé stante ma solo nella misura in cui Nicea poteva essere fondato sulla Bibbia. Il loro impegno fondamentale non era per Nicea ma per la Parola di Dio scritta a cui Nicea dava voce.
Alla luce di queste osservazioni, Emerson e Smith hanno sostenuto che la Riforma protestante si è collocata nella scia di questa pratica patristica: sì al riconoscimento dell’importanza della “tradizione” di Nicea ma sempre subordinato all’autorità suprema della Scrittura. I progetti di ripresa dell’eredità nicena, che conoscono una certa trazione nella teologia evangelicale nord-americana, devono mantenere questa sottomissione al principio protestante del “sola Scriptura” che non è un’invenzione dei Riformatori, ma un approccio teologico già presente nei Padri della chiesa. D’altra parte, Emerson e Smith hanno anche sottolineato che la teologia evangelicale sbaglia se interpreta il “sola Scriptura” come negligenza, indifferenza o addirittura astio nei confronti dell’eredità nicena.
Davide Ibrahim, dottorando in teologia presso l’Università teologica di Utrecht e assistente alla ricerca dell’ICED di Roma, ha tenuto una relazione su Bavinck, Orr e la recezione di Nicea, osservando come questi teologi neo-calvinisti della fine del XIX secolo abbiano saputo mantenere una grande considerazione del Simbolo niceno all’interno del loro impegno epistemico primario nei confronti della Scrittura. La loro posizione confliggeva sia con le contemporanee letture liberali (à la Adolph von Harnack) che consideravano Nicea un cedimento all’ellenismo, sia con quelle cattoliche (à la John Henry Newman) che ritenevano Nicea organicamente e indistinguibilmente collegata alla Rivelazione biblica, perdendo di vista il primato della Bibbia sulla tradizione.
Dal canto suo, chi scrive ha svolto una relazione sugli usi e abusi ecumenici di Nicea. Nel linguaggio ecumenico maggioritario, Nicea è considerata la base comune a tutti i cristiani. Si tratta di una teologia pigra che non riflette abbastanza sul fatto che le parole di Nicea sono sì uguali per tutti, ma i loro significati teologici sono diversi a seconda della famiglia confessionale a cui si appartiene. Inoltre, dopo Nicea le strade si sono divaricate e non si può semplicisticamente “tornare a Nicea” come se la storia potesse essere sospesa. Si è trattato di una pulce nell’orecchio nella narrazione ecumenica prevalente e superficiale secondo la quale, pur diversi su alcuni ambiti, tutti i cristiani sono uniti nel Simbolo di Nicea.
Altri partecipanti evangelici riconosciuti erano Matt Johnston, direttore dell’istituto teologico evangelico Verbum di Genova, e Steve Morgan, dottorando in teologia e missionario IMB a Torino.